Archivio dei tag geometria sacra

VOICELAB laboratorio di ricerca vocale 11 novembre – Monza

VOICELAB laboratorio di ricerca e sperimentazione vocale

il martedi con cadenza quindicinale dalle 20:30 alle 22:30 presso BB STUDIO via montelungo, 18 Monza 

prossima data 11 novembre

Prossima STAGIONE: 11-25 novembre, 9-16 dicembre

pierobon.lorenzo@gmail.com
Attraverso questo percorso entrerai in contatto con nuovi spazi liberi da condizionamenti e giudizio, farai esperienza di libertà e bellezza, insieme al gruppo svilupperai empatia e coltiverai i tuoi talenti.

Il percorso utilizza la voce come veicolo privilegiato per un viaggio nell’universo del suono e della vibrazione. Ci accompagneremo con ascolti musicali mirati, pratiche vocali, strumenti musicali e meditazioni sonore. Saranno presenti supporti audio e video per ampliare l’esperienza e dare continuità al lavoro. L’obiettivo è duplice: da un lato l’apprendimento del canto armonico e delle sue tecniche, dall’altro la ricerca vocale intesa come sperimentazione viva, capace di generare trasformazione e consapevolezza. Accanto al corso principale, sarà possibile partecipare a seminari mensili di approfondimento, a incontri individuali e a seminari residenziali, momenti privilegiati di immersione dove la voce si intreccia con il silenzio, il corpo e la natura.

Temi e percorsi esplorativi

  • il respiro come radice del suono e ponte tra corpo e coscienza.
  • la voce come laboratorio interiore di trasformazione, capace di unire materia ed energia.
  • esplorare le figure simboliche che abitano il nostro immaginario sonoro.
  • riscoprire l’unità tra gesto e vibrazione, corpo e timbro.
  • la potenza degli armonici e delle ripetizioni sonore come strumento di centratura e meditazione.
  • il suono come atto creativo, energia direzionata che plasma la realtà.
  • il canto come via di trascendenza, liberazione ed espansione della coscienza.
  • dialogo tra scienza e esperienza, dove la vibrazione diventa chiave interpretativa del reale.
  • i rapporti armonici che collegano voce, forma e proporzione.

 

 

Kheri-heb

“Ascolta.Non si canta solo con la voce. Si canta con il respiro, con il sangue, con la memoria di ciò che è antico. Noi, i Kheri-heb, custodi delle parole che vivono oltre il tempo, non pronunciamo mai un suono senza sapere che è un’offerta. Anche un singolo respiro è un ponte tra il visibile e l’invisibile.”

Il vecchio sacerdote mi condusse in una stanza senza finestre, illuminata da una sola fiamma. L’aria era ferma, come se il tempo avesse smesso di scorrere. Mi fece cenno di stare in piedi, con i piedi ben piantati nel suolo.

“Prima ancora di parlare, radicati. Il suono non nasce dalla gola, ma dalla terra stessa, che ti attraversa. Chiudi gli occhi. Respira come se bevessi il silenzio.”

Inspirai lentamente. Sentii un fresco scendere nei polmoni, mentre la sua voce bassa mi guidava.

“Ora, lascia che il respiro scenda ancora più giù, fino al centro nascosto del ventre. Quando espiri, fallo senza fretta, come se stessi restituendo al mondo un segreto antico.”

Seguì un silenzio carico. Poi, con “giusta voce”, cantò per me il suono sacro.

Non era un semplice canto. Era una vibrazione che sembrava aprire uno spazio invisibile nella stanza. Quando lo ripetei, sentii una risonanza diffondersi nel petto, come se qualcosa dentro di me si fosse spostato di un millimetro verso un luogo sconosciuto ma familiare.

“Ogni volta che canti questa potente formula, sussurrò, “immagina che le tue parole siano un raggio che apre una porta. Non è una porta che si vede con gli occhi. È una soglia che si sente.”

Ripetemmo tre volte. Dopo ogni emissione, restavamo immobili, ad ascoltare la traccia che il suono aveva lasciato nell’aria. Sembrava che anche la fiamma si muovesse al ritmo della nostra voce.

Quando l’ultimo suono svanì, portai una mano al cuore e l’altra all’ombelico, come lui mi aveva insegnato. Inspirai una volta ancora, restando in ascolto.
Il rito era compiuto, eppure la sensazione era che una parte di me fosse rimasta dall’altra parte della soglia.

“Ricorda,” disse prima di spegnere la fiamma, “il vero canto non finisce quando la voce tace. Continua a vivere dentro di te.”

Lorenzo Pierobon 2025 ©

Il Calice. Offerta e trasformazione

Ci sono forme che abitano l’inconscio collettivo come se fossero strutture archetipiche. Il calice è una di queste. Non è solo un oggetto, non è nemmeno soltanto un simbolo: è un contenitore di energie, una figura viva che attraversa miti, riti, e visioni. È un grembo, ma anche un tempio. È il luogo in cui la materia si trasforma e lo spirito si manifesta. Chi lavora con il suono e con la  voce, chi ha esplorato il corpo come luogo di coscienza, lo sa: ci sono momenti in cui non siamo più noi a cantare, ma qualcosa ci attraversa. In quei momenti, il corpo stesso si fa calice.

Tutto parte da un gesto, da una postura, da una disposizione interna. Le mani che si aprono a coppa, i gomiti che si divaricano come i bordi di una coppa antica, il busto che si rilassa e accoglie. Ma non è semplice anatomia: è un’architettura sacra. Il calice è forma di raccolta e di offerta. È insieme apertura e contenimento. È la soglia tra ciò che è invisibile e ciò che si manifesta. E questo gesto — che all’inizio può sembrare solo fisico — in realtà è un atto interiore, una disposizione alla ricezione.

Il simbolismo del calice si ritrova ovunque: nei culti antichi della Dea, dove il vaso sacro rappresentava il grembo della Terra e il principio della vita; nei misteri greci, dove era l’utensile del mescolamento tra vino e acqua, ovvero tra spirito e corpo; nella coppa del Graal, che più di ogni altro oggetto incarna il mistero dell’incontro fra umano e divino. Ma si ritrova anche nella Kabbalah, dove la Shekinah, la presenza del divino, è spesso evocata come un calice che raccoglie la luce. È presente nei Tarocchi, nella coppa dell’Asso di Coppe che trabocca d’acqua spirituale, o nella Regina che la regge come se fosse un cuore segreto. E nell’alchimia, dove vas hermeticum è il vaso chiuso, l’alambicco in cui la materia prima si dissolve per rinascere.

Il calice è, in ogni tradizione, uno strumento di trasformazione. Ma non trasforma per reazione: trasforma per presenza. Perché è il vuoto che crea la possibilità del pieno. È la forma che accoglie il mistero. Non funziona se è pieno di sé: funziona quando è vuoto ma pronto. E in questo senso, il calice è un simbolo radicale, quasi provocatorio, in una cultura che ci spinge costantemente a riempire, a esprimere, a dire. Il calice insegna il contrario: insegna a preparare lo spazio, a creare la condizione, a ricevere ciò che non può essere forzato.

Nella mia ricerca vocale, questo archetipo ha assunto via via un ruolo centrale. Non perché io lo abbia scelto: ma perché è emerso, spontaneamente, come accade con i veri simboli. Si è fatto sentire. Prima come gesto, poi come intuizione, poi come pratica viva. La voce, quando entra in relazione con il calice, cambia natura. Non è più suono diretto, volontario. Diventa eco del vuoto, risposta di qualcosa che non può essere previsto. Il calice vocalico non produce, ma chiama. Non proietta, ma riceve e poi lascia andare.

C’è una potente analogia tra le tre fasi della pratica e le tre configurazioni del calice. Seduto, con i gomiti aperti all’altezza dell’ombelico: il calice è basso, terrestre, legato al radicamento, alla raccolta delle acque interiori. In piedi, con le mani a coppa davanti alla gola: il calice è al centro, allineato al cuore e alla gola, punto d’incrocio tra emozione e vibrazione. Infine, il calice cosmico: braccia sollevate, corpo che si fa colonna, mani che si aprono verso l’alto — il calice diventa offerta, risonatore celeste, antenna sonora. Ogni posizione corrisponde a un’attitudine dell’anima, a un diverso livello del processo trasformativo.

Ma quello che più mi affascina è come questa geometria invisibile agisca a prescindere dalla nostra volontà. Quando il corpo assume questa forma, qualcosa inizia ad accadere. Non c’è bisogno di comprendere tutto: è sufficiente sentire. Il calice è una forma che accadedentro il corpo. Ed è allora che la voce si allinea, che il suono si verticalizza, che la vibrazione si organizza in modo nuovo. Non si tratta solo di tecnica vocale: è una questione di presenza. Di disposizione rituale. Di accordatura interiore.

In molte tradizioni spirituali, il calice è anche il luogo della conoscenza indicibile. È il contenitore dell’Akasha, della memoria del mondo, di ciò che non si può afferrare con la logica. È il luogo dove la voce del mondo può depositarsi. In questo senso, il calice è strumento di ascolto prima ancora che di espressione. Ecco perché la voce che nasce dal calice ha una qualità diversa: è densa, ma non pesante. È piena, ma non invadente. Filosoficamente, il calice è una soglia. Un concetto liminale. È il punto in cui il dentro e il fuorisi incontrano senza fondersi, ma rimanendo in relazione viva. Nella voce questo si percepisce con forza: quando il suono viene generato dal calice, non è più interamente mio, né interamente dell’altro. È intersoggettivo, é comunione vibrante. Diventa ponte, trasmissione, evento sonoro condiviso, voce che si fa spazio, che non ha più bisogno di affermarsi.

Non è un caso che nelle iniziazioni antiche il calice fosse sempre presente. Si beveva da una coppa per suggellare un patto, per assumere un sapere, per essere trasformati. Ma il vero calice iniziatico non era quello esterno: era la disposizione interiore a lasciarsi svuotare. Il vino, il sangue, l’acqua sacra  erano solo simboli esteriori di un processo più profondo. Il calice rituale era lì per ricordare che l’anima, per essere riempita di luce, deve prima imparare a essere vuota.

E forse è proprio questa la lezione più potente del calice: che la voce più vera nasce da un centro vuoto. Che il suono più naturale non è quello che decidiamo, ma quello a cui  permettiamo di manifestarsi. E che il corpo, quando si fa calice, diventa luogo in cui l’invisibile può manifestarsi attraverso la vibrazione.

Chi ha vissuto un’esperienza vocale autentica lo sa. In un certo istante, inspiegabile, la voce si trasforma. Non è più solo tua. Non è più solo suono. È rivelazione. È presenza sonora del mistero. È il calice che canta.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

Il Mistero della Voce 13 dicembre – Milano –

Le date: 13 dicembre 2025

                   7 febbraio – 25 aprile   2026

Un laboratorio che nasce dall’esperienza di Lorenzo Pierobon, musicoterapeuta, cantante e ricercatore della Voce, e dall’esigenza di iniziare a trasmettere una conoscenza accumulata in quasi trenta anni di ricerca e sperimentazione vocale. Gli incontri sono pensati per indagare lo strumento voce in maniera profonda, non soffermandosi esclusivamente sulla parte tecnica, ma esplorando le componenti più misteriose che conferiscono alla Voce lo status di “strumento trasformativo”. Le tecniche del canto armonico (overtones singing) ci accompagneranno in questo percorso alla scoperta della parte più nascosta e potente della voce: la componente esoterica. Tutti possono partecipare, non servono prerequisiti tecnici, in particolare è consigliato:

• A coloro che desiderano intraprendere un percorso di crescita personale e di consapevolezza

• Professionisti della relazione di aiuto (medici, psicologi, counselor, operatori olistici, insegnanti, etc).

• Artisti

• Cantanti e danzatori

• Esploratori

Gli incontri sono fruibili singolarmente, ma è fortemente consigliato il percorso completo, al termine del quale sarà rilasciato un attestato di frequenza. Per chi lo desiderasse è possibile attivare sessioni individuali di tutoring e supervisione in presenza, dove possibile, oppure online. (Gli incontri individuali, sono da considerarsi come costo a parte e saranno concordati direttamente con l’insegnante).

PROGRAMMA DETTAGLIATO 

Segreteria KAILASH Telefono 02 39545486 e-mail informazioni@cckailash.it

 

 

Il maestro del centro. Voce, vuoto, presenza

In un mondo che ci spinge costantemente verso l’esterno, verso la prestazione, l’apparenza e la risposta immediata, essere padroni del proprio centro non è solo una virtù: è un atto di invisibile resistenza, una forma di potere silenzioso. Essere padrone del centro non significa dominare qualcosa fuori da sé, ma radicarsi così profondamente in sé stessi da diventare inamovibili dentro, anche quando tutto si muove fuori. Questo concetto risuona in molte tradizioni: dalle arti marziali alla meditazione, dall’arte performativa al canto, dalla musica rituale al semplice stare in presenza. È un sapere antico, incarnato, e oggi più che mai necessario.

Nel budō giapponese, nel tai chi cinese, ma anche in altre discipline marziali, il centro viene identificato con l’hara o tantien, un punto energetico collocato qualche centimetro sotto l’ombelico. Questo centro è il baricentro fisico, ma anche il fulcro psichico da cui nasce ogni gesto efficace. La parola “Budo” (武道) viene comunemente tradotta come “la Via del Guerriero”, ma il significato profondo va ben oltre la semplice pratica marziale. “Bu” (武) indica l’arte del combattimento e dō (道) che significa Via, ma anche “fermare la lancia”, “Via che conduce alla pace”, cioè evitare il conflitto, una linea silenziosa che unisce le pratiche del corpo, della mente e della voce. Il maestro del Centro è, in fondo, un praticante del Budo: qualcuno che ha trasformato la disciplina marziale in un cammino di consapevolezza totale. Budo, è stato di presenza, è armonizzazione del disordine. Il vero artista marziale non si oppone, ma riceve e direziona. Non forza, ma si muove secondo la legge del minimo sforzo. Qui entra in gioco il principio taoista del Wu Wei — agire senza agire, cioè lasciar fluire l’azione come se fosse una continuazione stessa del respiro.

Il combattente centrato non cerca la vittoria, ma la presenza totale nel momento. È la mente vuota Wu Shin, la mente che non si attacca, che osserva senza interferire a permettere la risposta giusta, al momento giusto, con la giusta intensità. È pura prontezza, disponibilità totale all’evento. È lo stato in cui l’azione giusta emerge non perché è stata scelta, ma perché era l’unica possibile. Il padrone del centro non anticipa, ma è pronto. Non reagisce, ma accoglie. Non vuole vincere, ma semplicemente non viene spostato. La meditazione, in fondo, non è altro che allenare il Centro. Non si tratta di diventare immobili, ma di scoprire un’immobilità interiore, una testimonianza silenziosa da cui tutto può essere osservato senza giudizio. Anche qui entra in gioco Wu Shin: mente senza mente, stato di coscienza in cui i pensieri possono anche sorgere, ma non ci trascinano nel loro percorso. Si dissolvono come onde mentre il centro resta calmo. Meditare è non fare, non cercare, non aggiungere nulla. È Wu Wei puro.
È l’arte di lasciar essere ciò che è, senza resistere, senza inseguire. Nel corpo, il centro meditativo si percepisce spesso come peso radicato nella terra è leggerezza che si apre verso l’alto. È una colonna vuota ma vigile, che unisce terra e cielo.

Nel momento performativo, l’artista è esposto, fragile, in tensione tra controllo e abbandono. Solo chi ha un centro saldo può permettersi il rischio di lasciarsi attraversare dal gesto, dal suono, dalla Voce, dall’istante. Un attore, un performer, un cantante che non è nel proprio centro cerca di fare e spesso fa troppo. Esagera, forza, rincorre l’effetto. Ma il vero artista, il padrone del centro, non fa: lascia che accada. Il gesto emerge dal corpo come eco del sentire. La voce nasce non dalla gola, ma da uno spazio più profondo, non locale, che tiene insieme respiro, intenzione, risonanza. Questo è Wu Wei vocale: il suono che sorge senza sforzo, ma con intensità assoluta.

Il corpo in scena non è mai totalmente rilassato, ma attivo nella sua apertura. È tensione fluida, presenza costante. Chi guarda lo percepisce subito: l’artista è lì, e non è altrove. Nel canto armonico, nella vocalità sperimentale, ma anche nella musica più intuitiva, il centro non è solo un riferimento anatomico. È l’origine invisibile da cui nasce la vibrazione. Molti vocalist cercano di “cantare bene”, ma chi canta dal centro non cerca bellezza, cerca verità. E la bellezza vera arriva come conseguenza.

La voce centrata non cerca di imporsi, ma di risuonare.
È Wu Wei del suono: l’intenzione che si scioglie nella vibrazione, la volontà che lascia spazio alla frequenza. L’ascolto del corpo, della risonanza interna, degli spazi della bocca e della cassa toracica, non è un lavoro tecnico: è pratica di centratura.
Il vero cantante non spinge: lascia che il suono venga a lui. Essere maestri/e del centro oggi significa resistere alla distrazione, alla dispersione, all’eccesso di stimolo. Significa radicarsi nell’essenziale, coltivare il vuoto che permette al pieno di accadere.

In un mondo che ci vuole performanti, veloci, reattivi, il centro ci insegna la lentezza, la presenza, l’ascolto. Il centro non è un luogo, è uno stato dell’essere che si non si conquista una volta per tutte, è una pratica quotidiana, fatta di piccoli ritorni, di ascolto, di attenzione ai segni del corpo e della mente, il centro è ciò che non si muove anche quando tutto cambia. E solo chi ha incontrato questo spazio può davvero lasciarsi andare, perché non teme di perdersi.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

Cantare per creare: forme pensiero, energia e intenzione in movimento

I pensieri non sono entità effimere che svaniscono nel nulla dopo essere stati formulati. Al contrario, ogni pensiero ben definito è un atto creativo che lascia una traccia nel campo energetico e mentale, generando effetti che possono influenzare profondamente la realtà. Le forme pensiero, quindi, non sono solo manifestazioni del nostro mondo interiore, ma rappresentano vibrazioni e energie che si irradiano verso l’esterno, modellando la nostra esperienza e l’ambiente circostante. Questo concetto, esplorato da filosofi, scienziati e tradizioni spirituali, unisce metafisica, fisica e psicologia in una visione integrata del potere della mente. Pensare, infatti, non è mai un atto passivo: ogni pensiero è una forza in movimento, capace di propagarsi, influenzare e trasformare.

Le forme pensiero si riferiscono a costruzioni energetiche o entità immateriali create dalla mente umana attraverso pensieri, emozioni e intenzione focalizzata. Il termine è spesso associato alla teosofia, esiste anche in altre tradizioni spirituali, come l’induismo, dove il pensiero è considerato un’energia creativa, e in special modo nella cultura tibetana, con l’idea del tulpa, un’entità mentale autonoma. Nel buddhismo tibetano, il tulpa è una manifestazione intenzionale del pensiero, creata attraverso la meditazione profonda e il controllo mentale. È visto come uno strumento per esplorare la natura della mente e la sua capacità di creare realtà. Non si tratta necessariamente di entità “fisiche”, ma di “forme pensiero” che possono essere percepite come reali da chi le crea. I monaci tibetani utilizzavano queste pratiche per scopi specifici, come superare paure, ottenere visioni, o approfondire la comprensione della realtà illusoria. Creare un tulpa richiede disciplina mentale e la capacità di focalizzarsi su un’immagine mentale fino a darle una sorta di “vita propria”.

Comprendere come funzionano le forme pensiero significa prendere consapevolezza della nostra responsabilità e del nostro potere creativo. Ogni pensiero produce due effetti fondamentali: una vibrazione che si irradia verso l’esterno e una forma energetica che prende vita nel campo mentale. Questi due aspetti sono strettamente interconnessi e rappresentano le modalità con cui il pensiero agisce sia sul piano personale sia su quello collettivo.

Quando pensiamo, il nostro corpo mentale – una struttura energetica che riflette l’attività della nostra mente – si mette in vibrazione. Questo fenomeno avviene in modo istantaneo: ogni pensiero genera onde vibratorie che si propagano nello spazio, proprio come le onde create da un sasso lanciato in uno stagno. Tuttavia, la natura e la forza di queste onde dipendono dalla chiarezza, dall’intensità, dalla presenza.   e dall’intenzione che accompagna il pensiero che le genera. Un pensiero semplice, privo di complessità o profondità, produrrà vibrazioni deboli e poco strutturate. Al contrario, un pensiero forte, chiaro e focalizzato genererà vibrazioni potenti, capaci di influenzare profondamente il campo energetico circostante. Questo ci insegna che non è solo la forza del pensiero a determinare il suo impatto, ma soprattutto la sua precisione e coerenza.

Il concetto di vibrazione non è un’astrazione metafisica, ma una realtà concreta che possiamo osservare anche nel mondo fisico. La cymatica, la scienza che studia gli effetti delle vibrazioni sulla materia, dimostra come le onde sonore possano creare forme organizzate in materiali come acqua, sabbia o polvere. Analogamente, le vibrazioni generate dai pensieri producono effetti tangibili nel campo mentale, influenzando sia il nostro stato interiore sia quello degli altri. Quando un pensiero entra in contatto con un altro corpo mentale, tende a farlo vibrare in sintonia con la propria frequenza. Questo fenomeno, noto come risonanza mentale, è simile a ciò che accade tra due diapason: se uno viene fatto vibrare, anche l’altro, posto nelle vicinanze, comincerà a emettere lo stesso suono. La forza di questa risonanza dipende dalla chiarezza e dall’intensità del pensiero originale. Pensieri chiari, precisi e positivi avranno un impatto più forte rispetto a pensieri confusi o negativi. Inoltre, una mente predisposta a vibrare su frequenze elevate sarà più ricettiva ai pensieri di natura positiva, amplificando il loro effetto e diffondendoli ulteriormente.

Un pensiero non è solo un impulso momentaneo, ma può assumere una forma autonoma nel campo energetico. Quando creiamo un pensiero, lo rivestiamo di una struttura vibratoria che, in base alla sua intensità e chiarezza, può rimanere attiva per un tempo variabile. Se il pensiero è diretto verso un obiettivo specifico – una persona, una situazione, un progetto – la sua energia rimane focalizzata su quel target, influenzandolo costantemente. Questa forma di energia mentale è responsabile, ad esempio, dei risultati di una visualizzazione intenzionale o di una preghiera diretta. Quando, invece, il pensiero non ha un obiettivo preciso, esso rimane fluttuante nell’atmosfera mentale, irradiando energia simile a quella del suo creatore. Se non trova corpi mentali ricettivi, questa forma pensiero si dissolve gradualmente, perdendo la propria forza. Tuttavia, se entra in contatto con una mente affine, capace di vibrare sulla stessa frequenza, la forma pensiero viene assorbita e rafforzata, continuando il suo ciclo di propagazione.

David Bohm, uno dei più grandi fisici e pensatori del XX secolo, affermava che “l’immaginazione è già la creazione della forma, possiede già l’intenzione e il principio di tutti i movimenti necessari per metterla in atto.” Questa frase ci ricorda che l’intenzione è il motore principale della creazione mentale. Ogni pensiero nasce da un’intenzione, che ne determina la direzione, la chiarezza e la forza. Quando pensiamo con consapevolezza e intenzione, diamo al pensiero una forma ben definita, che può influenzare il mondo con maggiore efficacia. Questo principio è alla base di molte pratiche spirituali, come la meditazione, la preghiera o la visualizzazione creativa, ma trova riscontro anche nella psicologia moderna, che riconosce il potere della focalizzazione mentale per raggiungere obiettivi concreti.

La cymatica offre una rappresentazione visibile di ciò che avviene nel campo mentale quando formuliamo un pensiero. Gli esperimenti di Hans Jenny, pioniere di questa disciplina, hanno dimostrato come le vibrazioni sonore possano modellare la materia, creando forme geometriche armoniose. Ad esempio, quando una frequenza sonora viene applicata a una lastra con della sabbia, le particelle si organizzano in schemi precisi, che cambiano al variare della frequenza. Analogamente, i pensieri, che sono vibrazioni sottili, generano schemi nel campo energetico, influenzando tutto ciò che incontrano. Questa analogia ci aiuta a comprendere l’impatto delle forme pensiero: come il suono organizza la materia, i pensieri organizzano l’energia, creando realtà visibili e invisibili. Quando parliamo o cantiamo, il nostro corpo diventa un generatore di onde sonore che interagiscono con il nostro campo energetico e con la materia circostante. Questi suoni, uniti alle nostre intenzioni, creano vere e proprie impronte vibrazionali.

 

Il corpo come risonatore

Il corpo umano è una cassa di risonanza e consonanza naturale. Ogni organo e ogni cellula risuonano a determinate frequenze, e il suono della nostra voce può influenzarli. La cymatica applicata al corpo, spesso chiamata sound healing, dimostra come la vibrazione possa armonizzare i tessuti e riportare equilibrio. Quando cantiamo con consapevolezza, le vibrazioni emesse dalla voce possono creare “schemi energetici” simili a quelli osservati negli esperimenti di cymatica. Un mantra ripetuto con intenzione focalizzata può produrre risonanze che influenzano il nostro campo energetico, creando forme pensiero armoniose capaci di generare stati di calma, chiarezza e abbondanza di energia vitale.

 Canto vocalico e geometria sacra

Nel canto vocalico, ogni vocale è associata a una frequenza specifica che genera una particolare vibrazione nel corpo. La “A”, ad esempio, risuona nella zona del petto e del cuore, mentre la “I” stimola l’area della testa. La cymatica ci mostra che queste vibrazioni non si limitano al corpo, ma si espandono creando geometrie nell’ambiente, influenzando ciò che ci circonda. Se consideriamo le forme pensiero come “strutture vibrazionali”, il canto vocalico, amplificando l’intenzione, diventa uno strumento per plasmarle e renderle più definite. Le immagini cymatiche delle frequenze prodotte dalle vocali mostrano schemi ordinati, che riflettono equilibrio e armonia, in perfetta analogia con il potenziale di queste forme pensiero.

Canto armonico e creazioni multistrato

Il canto armonico, in cui il cantante produce più frequenze simultaneamente, è particolarmente efficace nella creazione di forme pensiero complesse. Gli armonici superiori generati interagiscono tra loro creando vibrazioni che si sovrappongono, come onde che modellano schemi cymatici complessi. Questo tipo di canto, caricato di intenzioni specifiche, può avere un effetto trasformativo profondo sia sul cantante sia sull’ascoltatore. Ad esempio, chi pratica il canto armonico con l’obiettivo di generare quiete e presenza può “intrecciare” queste intenzioni nelle vibrazioni emesse, creando un campo energetico che influenza il proprio stato mentale ed emotivo, oltre a quello degli altri.

Le forme pensiero ci ricordano che ogni pensiero è un atto creativo con conseguenze reali. Non importa se siamo consapevoli o meno: ogni vibrazione mentale lascia un’impronta, influenzando noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. Imparare a pensare con chiarezza, intenzione, consapevolezza e presenza è una delle chiavi per trasformare la nostra vita e contribuire a un cambiamento positivo nella realtà collettiva. In un universo governato da vibrazioni e risonanze, ogni pensiero ben formulato è un seme di trasformazione. Sta a noi scegliere cosa seminare e quale mondo costruire, consapevoli del nostro immenso potere creativo.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

 

Alle origini del canto vocalico: frequenze e risonanze

Il canto delle vocali è una pratica che affonda le sue radici nella storia antica, dove l’uso delle vocali non era semplicemente un mezzo di comunicazione, ma un veicolo per sintonizzarsi con energie superiori, con le forze della natura e, in alcuni casi, con la stessa essenza del cosmo. Oggi sappiamo che ogni vocale porta con sé una particolare frequenza armonica che entra in risonanza con precise onde vibrazionali, permettendo una connessione profonda e trasformativa.

Il canto delle vocali è presente in molte antiche tradizioni, dalle culture sciamaniche alle pratiche ritualistiche egiziane, fino alle filosofie indiane e tibetane. Per queste antiche civiltà, le vocali non erano soltanto componenti della lingua: erano sacre e dotate di potere. In molte di queste culture, le vocali rappresentavano delle chiavi per entrare in connessione con la “musica delle sfere,” l’idea platonica secondo cui l’universo emette costantemente delle frequenze armoniche.

Nella tradizione egizia, per esempio, si credeva che le vocali portassero in sé il soffio della creazione. Ogni lettera possedeva un determinato potere di risonanza che poteva influenzare sia la materia sia la coscienza. I sacerdoti egizi utilizzavano specifiche vocali durante le cerimonie, convinti che ogni suono avesse la capacità di aprire portali verso altre dimensioni o stati di coscienza. Nella tradizione indiana, il canto dell’OM (o AUM) rappresenta forse l’esempio più conosciuto di canto vocalico sacro, un suono che racchiude la totalità dell’essere e della non-dualità, una frequenza che, si dice, risuona con la vibrazione fondamentale dell’universo.

Una delle applicazioni più misteriose e suggestive del canto vocalico si trova tra i Catari, un gruppo mistico-religioso del medioevo, perseguitato per le sue credenze eretiche. I Catari credevano in un dualismo radicale tra spirito e materia, e utilizzavano il canto vocalico per purificarsi dalle impurità terrene, cercando la connessione con il divino attraverso la voce.

Il canto delle vocali AEIOU era un rituale intimo e segreto: ogni vocale rappresentava un passaggio, un’energia sottile che accompagnava il fedele in un viaggio spirituale. Nella sequenza AEIOU, ogni vocale era associata a un elemento o a un piano esistenziale specifico, rappresentando un processo di purificazione progressivo. Si riteneva che questo canto potesse sciogliere le impurità dell’anima, riportandola alla sua essenza luminosa e divina. I Catari intuirono che ogni vocale portava con sé un’identità numerica e vibratoria, un’idea che riecheggia nella teoria moderna delle frequenze, che collega il mondo della materia alla geometria sacra e ai numeri. Quando pronunciamo una vocale, generiamo onde armoniche che portano con sé leggi numeriche universali. Secondo l’esoterismo e molte tradizioni filosofiche, l’intero universo è costruito su proporzioni armoniche, che esprimono un ordine nascosto nel caos apparente della natura. L’essere umano, con la propria voce, ha il potere di entrare in risonanza con queste leggi universali. Le vocali diventano così strumenti potenti per sintonizzarsi con le armoniche dell’universo, e l’atto stesso del canto diventa una forma di connessione diretta con l’essenza numerica della realtà.

Un aspetto particolarmente interessante è che queste leggi di armonia si trovano ovunque: dai rapporti tra le orbite planetarie alla struttura della musica e persino nella nostra biologia. Quando cantiamo, le onde sonore generano una struttura geometrica invisibile nell’aria, che si propaga e risuona con tutto ciò che ha una propria frequenza, dalle cellule del nostro corpo ai campi energetici più sottili.

Per chi pratica il canto delle vocali in modo consapevole, questa risonanza può diventare uno strumento di pienezza e trasformazione. Nell’epoca attuale, il canto delle vocali ha trovato nuovi spazi e significati, soprattutto nelle pratiche di meditazione, musicoterapia e sviluppo personale. Oggi, comprendiamo meglio la scienza dietro la risonanza: sappiamo che le onde sonore non solo influenzano il nostro umore, ma possono anche modificare il nostro stato fisico e mentale.

Nella musicoterapia vocale, ad esempio, il canto delle vocali viene utilizzato per sbloccare tensioni emotive e fisiche, facilitando l’allineamento energetico. Alcuni musicoterapeuti insegnano ai pazienti a vocalizzare le singole vocali come parte di esercizi di respiro e rilassamento, aiutandoli a entrare in uno stato di equilibrio interiore. Anche le neuroscienze stanno cominciando a esplorare come le frequenze vocaliche influenzino il cervello, favorendo una risonanza interna che sembra migliorare la connettività tra diverse aree cerebrali. Il canto delle vocali è una pratica antica che oggi si rivela in tutta la sua potenza, non solo come mezzo di espressione, ma come strumento di connessione con le forze più profonde della natura. Ogni vocale rappresenta un canale verso una realtà armonica, e pronunciarla consapevolmente significa entrare in sintonia con il ritmo nascosto dell’universo. In un mondo in cui la ricerca di senso e connessione è sempre più urgente, il canto delle vocali offre un’esperienza che trascende il linguaggio, riportandoci a un’intuizione primordiale e universale: la vibrazione è alla base di ogni cosa, e la nostra voce è uno strumento per esplorare questa verità. Attraverso il canto delle vocali, l’essere umano non solo esprime se stesso, ma diventa uno strumento consapevole di risonanza, capace di sintonizzarsi con l’armonia fondamentale dell’universo, andando oltre le parole e oltre il tempo.

Questa mia personale interpretazione delle vocali come tappe di un percorso spirituale e esoterico arricchisce ulteriormente la pratica del canto armonico, trasformando ogni suono in un simbolo che rappresenta un aspetto specifico del cammino interiore. Vediamo più in dettaglio come ciascuna vocale può essere intesa come un portale verso una qualità energetica e un’esperienza interiore specifica.

A: il principio della vita e della purezza

La vocale A rappresenta l’inizio, l’origine stessa della creazione, collegandosi all’archetipo della sorgente e della purezza primordiale. Nell’emettere il suono “A”, si può sperimentare uno stato di calma, come se ci si ricollegasse all’essenza dell’esistenza. Questo suono induce una stabilità che nasce dal senso di “essere”, senza la necessità di fare. Per questo motivo, molte pratiche spirituali suggeriscono di iniziare con la vocale A, in quanto prepara il terreno interiore, calmando la mente e creando uno spazio di apertura e ricezione.

 E: luce e chiarezza interiore

La vocale E porta una qualità di illuminazione, come un raggio di luce che rischiara l’oscurità interiore. È associata alla chiarezza mentale e alla guida spirituale, un faro che ci mostra la direzione. Cantare la vocale E può risvegliare la fiducia e l’autostima, mettendoci in contatto con la nostra “luce interiore.” Chi pratica il canto della vocale E spesso descrive un effetto di vivacità mentale e chiarezza, quasi come se la vibrazione liberasse tensioni o dubbi, consentendo di vedere le cose con una nuova lucidità.

I: la spiritualità

I rappresenta l’elevazione spirituale, un innalzamento dell’anima verso piani più alti di consapevolezza. È la vocale che incarna la ricerca interiore, l’ascesa verso il divino e la connessione con il trascendente. Emessa consapevolmente, questa vocale stabilizza l’umore, favorendo uno stato di serenità che va oltre le fluttuazioni emotive quotidiane. Nell’emettere il suono I, si può sperimentare una vibrazione che “risale” lungo la colonna vertebrale, quasi come un’energia che si libera e ci spinge verso l’alto, simboleggiando il desiderio di raggiungere un nuovo stato di coscienza.

 O: eternità e ciclicità

La vocale O è simbolo di eternità, del ciclo della vita e della morte. In molte tradizioni, la O è collegata a forme circolari e alla perfezione della natura ciclica dell’universo. La risonanza del suono O trasmette un senso di completezza e unità, come se abbracciasse tutto il creato. Questo suono porta con sé una qualità di accoglienza e di integrazione, permettendo a chi lo emette di sentirsi parte di un tutto. La vibrazione generata dal suono O si percepisce spesso come una “sfera” che avvolge il corpo, trasmettendo una sensazione di appartenenza e perfezione, in linea con la ciclicità eterna della vita.

 U: unione e radicamento

Infine, la vocale U rappresenta il raggiungimento dell’unione, il completamento del percorso spirituale attraverso una profonda fusione con il divino. Il suono U risuona nelle profondità, generando un senso di radicamento che è essenziale per innalzarsi: “vola alto chi ha radici fonde.” Cantare la vocale U aiuta a sentirsi connessi alla terra e al corpo, favorendo una stabilità interiore che permette di affrontare il viaggio spirituale senza perdere l’equilibrio. Chi sperimenta il canto della U può sentire un’energia che scende verso il basso, favorendo un radicamento che non è immobilità, ma piuttosto una stabilità dinamica.

 Una mappa armonica per un cammino spirituale

Insieme, queste vocali disegnano una sorta di mappa che accompagna il praticante lungo il percorso spirituale. Dall’inizio (A), passando per l’illuminazione (E), l’ascensione (I), la comprensione dell’eterno (O) e la fusione con il divino (U), il canto vocalico diventa un rituale di trasformazione che armonizza corpo, mente e spirito. Ogni vocale, quindi, è molto più di un semplice suono: è una frequenza che risuona con precise parti del nostro essere, toccando corde profonde che ci ricollegano con le leggi armoniche dell’universo. Praticare consapevolmente il canto delle vocali può portare a una maggiore comprensione di sé, un viaggio interiore che ci avvicina al divino, non come qualcosa di esterno, ma come qualcosa che risuona già in noi, in attesa di essere risvegliato attraverso il suono. Le vocali rappresentano un canale attraverso cui l’essere umano entra in contatto diretto con il fenomeno delle armoniche. Ogni volta che pronunciamo una vocale, generiamo e percepiamo onde armoniche, creando risonanze che trascendono il semplice suono. Non è un caso che, quando parliamo o cantiamo, non facciamo altro che esprimere numeri. L’intero mondo fisico è in essenza un sistema numerico, le cui leggi di fondo sono armoniche, con i suoni che ne incarnano le manifestazioni più evidenti.

Da questa prospettiva, le radici del canto vocalico non erano né strettamente verbali né puramente musicali. Erano, invece, basate su leggi armoniche, una scienza intuitiva della risonanza. Ogni vocale, quindi, non era solo un suono, ma uno strumento capace di generare risonanza armonica, che permetteva di entrare in sintonia con le vibrazioni naturali dell’universo. Le vocali diventano così mezzi per risuonare con frequenze specifiche, catalizzatori di una sintonia profonda tra la voce e il cosmo, portando chi canta a un’esperienza più intima e primordiale di connessione con la natura delle cose.

Lorenzo Pierobon 2024 ©

Direzione, intenzione, proiezione: il triangolo della voce

Il “Triangolo della Voce” non è solo un concetto teorico, ma un vero e proprio strumento pratico che può aiutarci a comprendere meglio le dinamiche di questo mezzo espressivo, ponendo l’accento su tre aspetti fondamentali: direzione, intenzione e proiezione. Questi tre elementi non solo influenzano la qualità e l’efficacia del canto, ma giocano anche un ruolo cruciale nella connessione tra cantante e ascoltatore, nonché nell’impatto terapeutico della voce.

Direzione: orientamento della voce

La direzione rappresenta l’orientamento fisico e mentale del cantante. Sul piano fisico, implica il controllo della postura, della respirazione e della risonanza per dirigere il suono in modo efficiente. Ad esempio, una buona postura e una respirazione diaframmatica permettono al cantante di mantenere il controllo del flusso d’aria, che è fondamentale per una voce stabile e potente.

Sul piano mentale, la direzione implica la consapevolezza dell’obiettivo del canto, che può variare dal raggiungimento di una determinata nota alla comunicazione di un’emozione specifica. Le neuroscience spiegano che il cervello umano è altamente coinvolto nella produzione vocale, con diverse aree cerebrali che cooperano per controllare il tono, il timbro e la dizione. Una direzione chiara può migliorare la precisione vocale e la coerenza espressiva, poiché il cervello coordina meglio i muscoli coinvolti nella produzione del suono.

Le due direzioni.

Interna

Quando cantiamo dirigendo il suono verso il centro del corpo, creiamo una vibrazione che può sciogliere tensioni e blocchi emotivi. Questo processo può aiutare a risvegliare parti di noi stessi che sono rimaste silenti, offrendo una nuova consapevolezza e pace interiore.

Esterna

Proiettando la voce verso l’esterno, possiamo esprimere noi stessi con forza e chiarezza. È come lanciare  un messaggio al mondo, affermando la nostra presenza e unicità. In questo modo possiamo creare una connessione potente con gli ascoltatori, comunicando emozioni e pensieri in modo diretto e coinvolgente.

Intenzione: energia  emotiva e creativa

L’intenzione è l’energia emotiva e creativa che  i cantanti mettono nella loro espressione vocale. Questo elemento è fondamentale per creare un collegamento emotivo con l’ascoltatore. Nel canto, l’intenzione può variare dalla narrazione di una storia alla condivisione di un’esperienza personale. Ogni canzone ha il potenziale di evocare emozioni profonde, e l’intenzione del cantante è ciò che dà vita e autenticità alla performance.

Nel contesto del canto terapeutico, l’intenzione assume un ruolo ancora più significativo. Il canto è utilizzato in molte culture antiche come strumento di cura, grazie alla sua capacità di influenzare lo stato mentale e emotivo. La scienza moderna supporta questa idea, studi recenti hanno dimostrato che il canto può ridurre i livelli di stress e ansia, migliorare l’umore e persino stimolare il rilascio di endorfine, sostanze chimiche  associate al benessere. L’intenzione di benessere e cura dunque, diventa un canale attraverso il quale il cantante può trasmettere vibrazioni positive e calmanti, che possono avere un effetto terapeutico sugli ascoltatori.

I quattro tipi di intenzione.

Esplorativa

Cantare con l’intento di esplorare nuove sfumature della nostra voce e del nostro essere è un atto di scoperta personale. Questo processo può svelare potenzialità vocali nascoste e arricchire la nostra espressione artistica e personale.

Catartica

L’intenzione catartica nel canto è rivolta alla liberazione delle emozioni represse. Questo può fornire un sollievo significativo, aiutandoci a gestire meglio lo stress e le tensioni quotidiane. La liberazione emotiva attraverso il canto è una pratica che risale a tempi antichi, utilizzata in molte culture come strumento di purificazione e rinascita.

Curativa

Cantare con l’intenzione della cura può influire positivamente sul benessere fisico e psicologico. Studi neuroscientifici hanno dimostrato che il canto può stimolare il rilascio di endorfine e migliorare l’umore, riducendo i sintomi di ansia e depressione.

Connessione

Infine, l’intenzione di connessione è quella che cerca di creare un legame con gli altri e con il mondo. Cantare in gruppo o per un pubblico può costruire una sensazione di appartenenza e comunità, rafforzando i legami sociali e promuovendo l’empatia. (vedi l’articolo: La preparazione di un concerto: un viaggio tra simbolo, metafora e senso del sacro)

Proiezione: trasmissione della voce

La proiezione è il vertice del triangolo e rappresenta il modo in cui la voce del cantante viene trasmessa all’ascoltatore. Una buona proiezione richiede non solo una tecnica vocale solida ma anche una forte connessione emotiva e fisica con il pubblico. Nel canto, la proiezione è spesso associata alla capacità di riempire uno spazio con il suono, ma è anche una questione di trasmettere chiaramente il messaggio e le emozioni.

Nel canto terapeutico, la proiezione è cruciale per l’efficacia del trattamento. Ad esempio, nelle pratiche di canto armonico, il cantante usa tecniche specifiche per creare frequenze che risuonano in diverse parti del corpo, influenzando così l’equilibrio energetico e promuovendo il benessere. La proiezione non è solo una questione di volume, ma anche di qualità del suono e di intonazione, che possono influenzare il sistema nervoso e le onde cerebrali degli ascoltatori.

Il Triangolo della Voce offre un modello per esplorare il potenziale della voce umana sia nel campo artistico che in quello terapeutico. La direzione, l’intenzione e la proiezione sono elementi interconnessi che, se ben compresi e sviluppati, possono elevare l’esperienza della Voce a livelli straordinari. Questa consapevolezza non solo arricchisce la pratica vocale ma offre anche strumenti per la cura e il benessere, dimostrando ancora una volta il potere trasformativo della voce umana.

Lorenzo Pierobon 2024 ©

La preparazione di un concerto: un viaggio tra simbolo, metafora e senso del sacro

Preparare un concerto è molto più di una semplice sequenza di prove e preparativi tecnici. È un processo profondamente simbolico e metaforico che coinvolge empatia, condivisione, presenza, creatività, improvvisazione e senso del sacro.

L’empatia è il fondamento di ogni esibizione artistica. Quando artisti e musicisti si preparano per un concerto, devono sintonizzarsi non solo tra di loro ma anche con il pubblico che li ascolterà. Questa connessione empatica crea una risonanza emotiva che amplifica l’esperienza collettiva. L’empatia permette agli artisti di sentire le emozioni altrui come proprie, rendendo possibile una performance che tocca profondamente l’animo degli spettatori.

La preparazione di un concerto è un atto di condivisione, dove ogni membro del gruppo porta la propria voce, il proprio strumento e la propria energia creativa. Questa condivisione crea un tessuto sonoro unico, un mosaico di suoni e sensazioni che si intrecciano per creare qualcosa di più grande della somma delle singole parti. La condivisione non è solo un atto di generosità, ma una necessità che permette di raggiungere una armoniosa perfezione. Essere presenti, totalmente immersi nel momento, nel qui e ora, è essenziale per la riuscita di una performance. La presenza è quella qualità ineffabile che permette agli artisti di essere pienamente consapevoli di ogni nota, ogni movimento e ogni respiro. Questa consapevolezza trasforma la preparazione in un atto meditativo, dove il passato e il futuro svaniscono, lasciando spazio ad un eterno presente.  La creatività è il motore della preparazione artistica. È attraverso la creatività che gli artisti esplorano nuovi territori sonori, sperimentano e giocano con le possibilità. L’improvvisazione, in particolare, rappresenta l’alchimia dell’inaspettato, dove l’arte si rinnova costantemente in modi imprevedibili. Questa capacità di improvvisare, di adattarsi e di trasformarsi, è ciò che rende ogni concerto unico e irripetibile.

In fisica quantistica, la coerenza è lo stato in cui le particelle oscillano all’unisono. Analogamente, durante la preparazione di un concerto, i musicisti entrano in uno stato di coerenza, che crea un campo di energia condiviso, dove intenzione e emozione si allineano in perfetta armonia, rendendo possibile una performance che trascende il semplice atto artistico.  Quando gli artisti si uniscono per creare uno spettacolo, formano un super organismo, un’entità collettiva che va oltre le singole individualità. Questa entità artistica è capace di esprimere una potenza creativa e una sensibilità superiore rispetto al singolo, la sinergia dell’insieme permette di esplorare nuove dimensioni artistiche e di toccare profondamente il cuore del pubblico.

Infine, preparare un concerto è un atto spirituale e rituale. Ogni prova, ogni gesto, ogni nota suonata è parte di un rito che celebra la sacralità dell’arte. Come in un antico rituale, gli artisti si preparano a offrire una parte di sé al pubblico, creando un ponte tra il mondo terreno e quello spirituale., tra terra e cielo. Questa dimensione spirituale conferisce al concerto una profondità e un significato che va oltre il semplice intrattenimento. La preparazione di un concerto è un viaggio, un rito che celebra la sacralità dell’arte e la potenza della connessione umana, trasformando ogni performance in un’esperienza unica e irripetibile.

Lorenzo Pierobon 2024 ©