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Il Calice. Offerta e trasformazione

Ci sono forme che abitano l’inconscio collettivo come se fossero strutture archetipiche. Il calice è una di queste. Non è solo un oggetto, non è nemmeno soltanto un simbolo: è un contenitore di energie, una figura viva che attraversa miti, riti, e visioni. È un grembo, ma anche un tempio. È il luogo in cui la materia si trasforma e lo spirito si manifesta. Chi lavora con il suono e con la  voce, chi ha esplorato il corpo come luogo di coscienza, lo sa: ci sono momenti in cui non siamo più noi a cantare, ma qualcosa ci attraversa. In quei momenti, il corpo stesso si fa calice.

Tutto parte da un gesto, da una postura, da una disposizione interna. Le mani che si aprono a coppa, i gomiti che si divaricano come i bordi di una coppa antica, il busto che si rilassa e accoglie. Ma non è semplice anatomia: è un’architettura sacra. Il calice è forma di raccolta e di offerta. È insieme apertura e contenimento. È la soglia tra ciò che è invisibile e ciò che si manifesta. E questo gesto — che all’inizio può sembrare solo fisico — in realtà è un atto interiore, una disposizione alla ricezione.

Il simbolismo del calice si ritrova ovunque: nei culti antichi della Dea, dove il vaso sacro rappresentava il grembo della Terra e il principio della vita; nei misteri greci, dove era l’utensile del mescolamento tra vino e acqua, ovvero tra spirito e corpo; nella coppa del Graal, che più di ogni altro oggetto incarna il mistero dell’incontro fra umano e divino. Ma si ritrova anche nella Kabbalah, dove la Shekinah, la presenza del divino, è spesso evocata come un calice che raccoglie la luce. È presente nei Tarocchi, nella coppa dell’Asso di Coppe che trabocca d’acqua spirituale, o nella Regina che la regge come se fosse un cuore segreto. E nell’alchimia, dove vas hermeticum è il vaso chiuso, l’alambicco in cui la materia prima si dissolve per rinascere.

Il calice è, in ogni tradizione, uno strumento di trasformazione. Ma non trasforma per reazione: trasforma per presenza. Perché è il vuoto che crea la possibilità del pieno. È la forma che accoglie il mistero. Non funziona se è pieno di sé: funziona quando è vuoto ma pronto. E in questo senso, il calice è un simbolo radicale, quasi provocatorio, in una cultura che ci spinge costantemente a riempire, a esprimere, a dire. Il calice insegna il contrario: insegna a preparare lo spazio, a creare la condizione, a ricevere ciò che non può essere forzato.

Nella mia ricerca vocale, questo archetipo ha assunto via via un ruolo centrale. Non perché io lo abbia scelto: ma perché è emerso, spontaneamente, come accade con i veri simboli. Si è fatto sentire. Prima come gesto, poi come intuizione, poi come pratica viva. La voce, quando entra in relazione con il calice, cambia natura. Non è più suono diretto, volontario. Diventa eco del vuoto, risposta di qualcosa che non può essere previsto. Il calice vocalico non produce, ma chiama. Non proietta, ma riceve e poi lascia andare.

C’è una potente analogia tra le tre fasi della pratica e le tre configurazioni del calice. Seduto, con i gomiti aperti all’altezza dell’ombelico: il calice è basso, terrestre, legato al radicamento, alla raccolta delle acque interiori. In piedi, con le mani a coppa davanti alla gola: il calice è al centro, allineato al cuore e alla gola, punto d’incrocio tra emozione e vibrazione. Infine, il calice cosmico: braccia sollevate, corpo che si fa colonna, mani che si aprono verso l’alto — il calice diventa offerta, risonatore celeste, antenna sonora. Ogni posizione corrisponde a un’attitudine dell’anima, a un diverso livello del processo trasformativo.

Ma quello che più mi affascina è come questa geometria invisibile agisca a prescindere dalla nostra volontà. Quando il corpo assume questa forma, qualcosa inizia ad accadere. Non c’è bisogno di comprendere tutto: è sufficiente sentire. Il calice è una forma che accadedentro il corpo. Ed è allora che la voce si allinea, che il suono si verticalizza, che la vibrazione si organizza in modo nuovo. Non si tratta solo di tecnica vocale: è una questione di presenza. Di disposizione rituale. Di accordatura interiore.

In molte tradizioni spirituali, il calice è anche il luogo della conoscenza indicibile. È il contenitore dell’Akasha, della memoria del mondo, di ciò che non si può afferrare con la logica. È il luogo dove la voce del mondo può depositarsi. In questo senso, il calice è strumento di ascolto prima ancora che di espressione. Ecco perché la voce che nasce dal calice ha una qualità diversa: è densa, ma non pesante. È piena, ma non invadente. Filosoficamente, il calice è una soglia. Un concetto liminale. È il punto in cui il dentro e il fuorisi incontrano senza fondersi, ma rimanendo in relazione viva. Nella voce questo si percepisce con forza: quando il suono viene generato dal calice, non è più interamente mio, né interamente dell’altro. È intersoggettivo, é comunione vibrante. Diventa ponte, trasmissione, evento sonoro condiviso, voce che si fa spazio, che non ha più bisogno di affermarsi.

Non è un caso che nelle iniziazioni antiche il calice fosse sempre presente. Si beveva da una coppa per suggellare un patto, per assumere un sapere, per essere trasformati. Ma il vero calice iniziatico non era quello esterno: era la disposizione interiore a lasciarsi svuotare. Il vino, il sangue, l’acqua sacra  erano solo simboli esteriori di un processo più profondo. Il calice rituale era lì per ricordare che l’anima, per essere riempita di luce, deve prima imparare a essere vuota.

E forse è proprio questa la lezione più potente del calice: che la voce più vera nasce da un centro vuoto. Che il suono più naturale non è quello che decidiamo, ma quello a cui  permettiamo di manifestarsi. E che il corpo, quando si fa calice, diventa luogo in cui l’invisibile può manifestarsi attraverso la vibrazione.

Chi ha vissuto un’esperienza vocale autentica lo sa. In un certo istante, inspiegabile, la voce si trasforma. Non è più solo tua. Non è più solo suono. È rivelazione. È presenza sonora del mistero. È il calice che canta.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

Seminario: Oltre la Voce il rito del Solstizio 18-21 giugno 2026- Rapallo (GE)

Montallegro-Rapallo  18-19-20-21

nella serata di sabato  20 giugno verrà proposto un concerto rituale , nella splendida cornice del bosco superiore (aperto al pubblico esterno), dell’Harmonics Art Ensemble composto dai partecipanti al seminario più ospiti speciali.

Un bosco magico pieno di lucciole, un panorama mozzafiato, un luogo incantato; questa sarà  la cornice  dell’edizione 2024 del seminario OLTRE LA VOCE.

20ma  edizione:

Asclepeion il tempio della Voce condotto da Lorenzo Pierobon. Un’occasione per entrare in contatto profondo…

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VOICELAB laboratorio di ricerca vocale 14 ottobre – Monza

VOICELAB laboratorio di ricerca e sperimentazione vocale Leggi tutto

Seminario: la voce nella terapia e nella relazione di aiuto 28-29 marzo 2026 – Trieste

La Voce risulta spesso uno “strumento emarginato” nelle relazioni e ancor di più nelle pratiche di cura, ricopre invece un ruolo fondamentale per instaurare un vincolo efficace e per creare un’identità personale ed una coesione gruppale favorevole ad un percorso terapeutico.
Indagare i differenti aspetti della propria voce è una “via” personale che porta “armonicamente” alla conoscenza di se stessi e una relazione sana con gli altri. La voce può quindi recuperare per ognuno di noi la sua collocazione interiore e la sua centralità , e questo grazie al suo ” ascolto”, che in pratica significa ascoltare se stessi.”Sentire” la propria voce equivale a cercare e trovare le strade possibili per una nuova e più autentica relazione con il proprio mondo interno e con il mondo esterno.
Del resto è innegabile che la voce racchiuda il vissuto più o meno segreto che ognuno di noi porta dentro di sé , e la sua espressione, tonalità, timbro, frequenza ecc., ne sono da esso condizionati.

www.musicoterapiavocale.com/presentazione

www.musicoterapiavocale.com/programma-di-pierobon

Laboratorio: Il mistero della Voce LAB. 8 novembre – Firenze

dalle 14 alle 18  Tutte le date: 8 Novembre  –   10 Gennaio  2026 –  7 Marzo 2026 –  9 maggio 2026

Studio Clematis via Lorenzo di Credi 20 Firenze

SUONI DELL’ANIMA-L’ESSENZA NASCOSTA DELLA VOCE

laboratorio di canto armonico, ricerca e sperimentazione vocale con Lorenzo Pierobon.

Il percorso è finalizzato all’apprendimento del canto armonico, alla ricerca vocale e alla sperimentazione attraverso lo strumento “voce”, mezzo potente ed efficace per il benessere globale della persona, in grado di liberare tensioni, blocchi, stress e ristabilire armonia. Un viaggio nel magico e misterioso mondo della voce per scoprirne tutte le possibilità , non solo dal punto di vista artistico, ma anche e sopratutto dal punto di vista spirituale ed energetico.

VISUALIZZA QUI IL PROGRAMMA DETTAGLIATO

info: cantoarmonicofirenze@gmail.com cell. 3402843870

Laboratorio: IL MISTERO DELLA VOCE 9 novembre – Lucca

dalle 9.30 alle 13:30 : 9 novembre – 11 gennaio 2026 – 8 marzo 2026 – 10 maggio

esploreremo lo strumento “Voce”dal punto di vista artistico, ma anche e sopratutto dal punto di vista spirituale ed energetico. La meditazione con il suono, la voce e gli stati di coscienza, la voce come strumento per la ricerca spirituale, questi alcuni degli argomenti trattati. Laboratorio di canto armonico, ricerca e sperimentazione vocale

Un lavoro profondo e adatto a tutti che unisce all’utilizzo del suono e della voce un naturale movimento corporeo e pratiche di respirazione profonda.

Esploreremo inoltre la ritualità, la condivisione e la contemplazione della dimensione del sacro attraverso l’uso di questo affascinante “strumento musicale

VISUALIZZA QUI IL PROGRAMMA DETTAGLIATO

Centro AMRITA via del Brennero 344 S.Marco, Lucca
INFO E PRENOTAZIONI
cell 329 3773096 patrimartix@gmail.com
cell 335 7581124 avaditi542@gmail.com

Attrattore vocale. Il centro invisibile

Un attrattore, in fisica e matematica, è il punto o insieme verso cui un sistema evolve spontaneamente nel tempo., nonostante le sue apparenti fluttuazioni e irregolarità. Anche se il percorso può sembrare caotico o imprevedibile, il sistema resta comunque vincolato a una certa geometria, a un campo invisibile ma costante che ne determina i limiti e le possibilità. Si tratta di una struttura nascosta nel caos, un nucleo invisibile che attrae i comportamenti del sistema, anche quando questi appaiono inizialmente disordinati. Un attrattore può essere un punto, una curva, o una figura complessa a geometria frattale.

Portando questo concetto nell’ambito del suono, e più precisamente nella voce, ci troviamo di fronte a una potente metafora funzionale e percettiva. La voce, come il clima o le orbite planetarie, è un sistema dinamico. È soggetta a fluttuazioni, imprevedibilità, risonanze interne ed esterne. Eppure, anche nel canto più libero, più istintivo, sembra esserci sempre una direzione, una coerenza implicita, una forma che chiama e che possiamo definire attrattore vocale.

Un attrattore vocale è una configurazione vibratoria, acustica, simbolica, archetipica verso cui la voce tende naturalmente, nel tempo, attraverso la ripetizione e l’ascolto. È un centro attorno a cui gravita la risonanza, un punto di richiamo che si costruisce nel tempo grazie all’esperienza, all’intenzione, alla familiarità e al dialogo sonoro tra corpo, mente ed emozione.

Non è una nota fissa, non è un timbro definito, ma una qualità risonante. Può manifestarsi come:

  • una frequenza fondamentale ricorrente
  • un registro vocale enfatizzato
  • un’area del corpo particolarmente coinvolta
  • una dinamica di emissione (mormorio, espansione, intensità modulata)
  • una configurazione armonica che torna spontaneamente.
  • Un pattern ritmico (esperienza di gruppo)
  • Un “cluster” sonoro (esperienza di gruppo)

L’attrattore vocale non è statico, ha una coerenza interna, un’identità riconoscibile. È come il centro di un mandala vocale: puoi esplorare le periferie, ma se ascolti bene, sai sempre dove tornare.

Nel canto improvvisato, specialmente in contesti sperimentali e non strutturati, l’attrattore vocale svolge una funzione essenziale. La voce si muove nello spazio: esplora, devia, accelera, frena. Ma la presenza di un attrattore vocale consente a questa esplorazione di non perdersi di non diventare dispersiva o casuale. La voce può allontanarsi molto, ma poi torna a casa, e nel ritorno crea il senso.,

Questo vale sia per il cantante solista che in gruppo. Ma è nel gruppo che l’attrattore vocale mostra tutta la sua potenza evolutiva.

Quando più voci improvvisano insieme, ogni voce porta con sé il proprio attrattore. Ma nel tempo, spesso anche molto rapidamente, succede qualcosa: gli attrattori iniziano a dialogare, si accordano, si adattano, si fondono e danno vita a un attrattore vocale collettivo.

Le voci si cercano nello spettro armonico, si modellano a vicenda, si stabilizzano attorno a risonanze condivise. Si forma un campo vibrazionale che ha una propria intelligenza evidente.

Ed è proprio qui che possiamo parlare, in modo pienamente significativo, di intelligenza collettiva vocale.

L’intelligenza collettiva non è una somma di intelligenze individuali. È un campo emergente che si manifesta quando un gruppo di persone agisce in ascolto profondo, in presenza, in sintonia corporea ed emotiva, con un obiettivo implicito comune: in questo caso, il canto, la coerenza sonora, la risonanza condivisa, l’intenzione focalizzata.

Nel canto armonico improvvisato, questo fenomeno diventa tangibile, gli armonici di un cantante si intrecciano con quelli degli altri, le frequenze si regolano, si avvicinano, si accordano. Alcune si rinforzano, altre scompaiono. Il campo acustico inizia a risuonare come un corpo unico. Si crea un flusso che non appartiene più a nessuno in particolare, ma circola, si distribuisce, si riorganizza in tempo reale.

Questa intelligenza collettiva:

  • decide senza decidere
  • guida senza imporre
  • risponde a perturbazioni con adattamenti coerenti
  • esplora possibilità che a un singolo sono normalmente precluse

È l’esatto equivalente sonoro di uno stormo in volo, di un banco di pesci, di una rete neurale biologica. Ogni voce ascolta e agisce. Ogni gesto vocale è una proposta, un adattamento, un atto creativo. Si genera così una coscienza musicale collettiva, in cui ognuno è parte e di un insieme vivo e dinamico.

In questo quadro, l’attrattore vocale individuale o collettivo, può essere visto come il centro dinamico della presenza sonora. È ciò che mantiene la coerenza nel tempo, ciò che dà forma al flusso, anche quando il flusso si trasforma.

L’attrattore vocale: assicura la continuità dell’identità sonora individuale e di gruppo, accoglie le dissonanze come parte della forma, stabilizza il gruppo nella coerenza senza bisogno di controllo.

In questo senso, è anche uno strumento terapeutico. Aiutare una persona a riconoscere il proprio attrattore vocale significa aiutarla a sentire il proprio centro, la propria orbita naturale, la propria “firma” in vocale. Aiutare un gruppo a co-creare un attrattore collettivo significa favorire l’emergere di una coscienza vocale e una identità sonora condivisa, un organismo che canta con la voce di tutti. E qui si apre un’ulteriore dimensione: quella dei campi morfici, teorizzati dal biologo Rupert Sheldrake. Secondo questa visione, ogni sistema naturale è immerso in un campo invisibile che trasmette informazioni sotto forma di memoria. Non si tratta di una trasmissione energetica classica, ma di una risonanza morfica: le forme che si sono già manifestate hanno più probabilità di ripetersi, perché il campo “le ricorda”.

In altre parole, ogni volta che un gruppo canta, non sta solo creando un suono nuovo, sta anche attingendo a un campo di forme sonore già vissute, a una memoria invisibile che collega tutte le esperienze vocali simili. Quando si canta in cerchio, utilizzando le tecniche del canto armonico, si entra in un flusso che è anche archetipico e transpersonale.

L’attrattore vocale, in questo contesto, può essere visto come un punto di condensazione del campo morfico. Una voce che emette una frequenza ben centrata, ben ascoltata, ben radicata, può attivare una risonanza non solo nel gruppo presente, ma anche nel campo più ampio della memoria collettiva vocale. È come se chiamasse a sé tutte le voci che quella nota l’hanno già cantata, tutte le geometrie che quel suono ha già abitato. Questa è la forza dell’improvvisazione rituale: non crea dal nulla, ma ricorda attraverso il corpo. La voce diventa allora antenna, soglia, portale. Ogni suono emesso in presenza e ascolto attiva non solo una relazione nel presente, ma tesse una tela di relazioni trans-temporali.

Nell’universo, nulla è davvero casuale. Anche i sistemi più turbolenti danzano attorno a forme invisibili che li organizzano. La voce non fa eccezione, e gli attrattori possono essere riconosciuti, coltivati, modulati per manifestare una intelligenza che non appartiene a nessuno, ma si manifesta quando siamo davvero insieme, quando le voci smettono di cercare protagonismo e iniziano a cercare risonanza. L’attrattore vocale è, forse, l’eco profondo della nostra verità sonora. E cantare insieme, in ascolto, è un modo per ricordarci questa verità non solo con la mente, ma con il corpo, il respiro, la vibrazione, e la presenza viva del gruppo.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

 

Il potere della vulnerabilità

C’è una forza che non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire. Non si impone, non conquista, non domina. Eppure, quando si manifesta, lascia un segno profondo, come una traccia invisibile che resta impressa molto più a lungo di qualsiasi gesto eclatante.
Questa forza è la vulnerabilità: quello spazio interiore in cui si smette di trattenere, di controllare, di costruire maschere, e si inizia a lasciar passare.

Essere vulnerabili non significa essere fragili nel senso comune del termine. Non significa soccombere, non significa arrendersi. Significa, piuttosto, rinunciare alla corazza. Smettere di irrigidirsi nella difesa permanente. Significa avere il coraggio di stare nudi davanti alla vita, accettando la possibilità di essere toccati, colpiti, trasformati. E proprio in questa nudità, in questa esposizione, si cela una forza sorprendente: quella di chi non ha più nulla da proteggere.

Nel mondo del suono, del canto e della voce, la vulnerabilità non è un ostacolo da superare: è la soglia che permette al lavoro autentico di iniziare.
Nessun percorso vocale profondo può svilupparsi se la persona rimane contratta nella maschera della sicurezza o nella rigidità.
La Voce, intesa non solo come suono, ma come manifestazione vibrazionale dell’essere, fiorisce solo quando trova spazio per vibrare anche nella fragilità, nel non detto, nell’ imperfetto. E forse proprio qui si manifesta il paradosso più interessante: la voce autentica nasce dove il controllo finisce.

La vulnerabilità non è una qualità astratta, relegata ai libri o ai discorsi filosofici. È qualcosa di assolutamente incarnato nell’essere umani.
La si percepisce nel respiro che esita, in quel tremolio impercettibile che percorre il suono. In quel momento esatto in cui il corpo si apre senza difese, senza sapere cosa succederà. È lì che la voce diventa vera.
Quando la tensione del “riuscire a tutti costi” si allenta, quando l’ascolto di sé diventa più importante della prestazione, quando si smette di voler “cantare bene” e si inizia semplicemente a essere nella voce, qualcosa si dischiude. Non è solo un suono. È un passaggio.
Una soglia interiore che trasforma, che apre a un modo diverso di abitare il corpo, il respiro, l’espressione.

Chi lavora con la voce in modo profondo — e ancora di più chi la esplora in senso rituale, terapeutico o spirituale sa che è proprio nel momento in cui ci si lascia attraversare dal suono che si produce una risonanza vera.
Quando la voce vibra da dentro, senza filtri, senza l’obbligo di piacere o di convincere, allora smuove. Guarisce. Connette. Non lo fa perché è perfetta. Lo fa perché è viva, nuda, umana.

Nel canto armonico, questa verità si rende ancora più evidente. Non si può forzare l’emergere di una seconda voce se non si lascia andare qualcosa. Il suono armonico ha bisogno di vuoto.
Non nasce dal controllo, ma dallo spazio interno. Da una presenza morbida, da una disponibilità ad ascoltare più che a dirigere. Il suono armonico chiede che il corpo diventi cassa di risonanza del non visibile. Che accolga, che consenta.
E questo implica inevitabilmente esporsi al rischio del non sapere, del non riuscire, del non poter dominare pienamente l’esperienza. In questa apertura vulnerabile si produce l’imprevedibile: un suono che non è più solo frutto della volontà, ma accade. E proprio per questo è vero, potente, trasformatore. In quel momento, il canto cessa di essere esecuzione tecnica e diventa esperienza trascendente. Una porta attraverso cui l’essere passa, si espande, si rinnova.

Ma la vulnerabilità non riguarda solo il rapporto con sé. Ha anche una dimensione relazionale. Quando qualcuno canta o parla da uno spazio autentico, chi ascolta lo percepisce immediatamente.
Non importa la tecnica, l’intonazione, la potenza. Importa il grado di verità che passa attraverso il suono. Il pubblico, l’ascoltatore, chiunque sia presente, non cerca la perfezione: cerca il vivo, cerca il vero. Cerca l’umano. È una questione di risonanza profonda, il corpo dell’altro viene toccato non perché sente una prestazione impeccabile, ma perché riconosce una presenza reale.

Perché sente che qualcosa si muove di là della superficie. Questo vale nella performance, nella composizione, nell’improvvisazione. Vale nell’arte, nella cura, nella comunicazione più sottile.
Vale ogni volta che la voce non è usata come scudo o ornamento, ma come ponte. E così l’artista vulnerabile diventa davvero un ponte. Attraverso la sua voce, il suo corpo, il suo suono, crea uno spazio dove le emozioni possono fluire. Dove l’altro può riconoscersi, può lasciarsi toccare, può sentire che anche la propria umanità è accolta.

Anche nelle arti marziali, quello che trascende la tecnica per diventare via interiore, la vulnerabilità è fondamentale. Non si tratta di essere deboli. Né di abbassare la guardia ingenuamente.
Si tratta di smettere di irrigidirsi nella difesa. Di lasciare che il corpo senta, ascolti, risponda. chi ha integrato questa consapevolezza non combatte contro. Non forza. Non resiste.

Accoglie.
Segue.
Fluisce.

Il vero combattente non cerca lo scontro: danza con l’energia dell’altro. È vulnerabile perché è permeabile. Non un muro, ma una corrente, non un ostacolo, ma una via. Nel Tai Chi, nell’Aikido, la morbidezza vince sulla durezza. La presenza vince sull’attacco.
La capacità di ascoltare l’intenzione ancor prima che il gesto si manifesti è ciò che permette di trasformare l’azione nel suo stesso nascere. È lo stesso ascolto sottile che, nel lavoro vocale profondo, permette di cogliere le microvariazioni del respiro, dei silenzi, dei pieni e dei vuoti.

Chi canta da uno spazio di vulnerabilità non produce suoni: li lascia accadere. Chi combatte da uno spazio di vulnerabilità non colpisce: risponde, fluendo. In entrambi i casi, il corpo non è più un’armatura. È strumento, membrana sensibile, campo di presenza. E allora la vulnerabilità non è più nemica della forza. È la sua condizione più profonda.

Perché solo chi non ha più bisogno di difendersi può entrare in una relazione autentica con il mondo,
con il suono, con l’altro. Con l’attimo presente. Solo chi si espone senza maschere può incontrare davvero. Solo chi accetta di rischiare può trasformare e trasformarsi. Ed è forse proprio questo il vero potere della vulnerabilità: la possibilità, radicale e luminosa, di tornare pienamente vivi. Di essere, finalmente, senza più protezioni inutili, presenza vibrante nel mondo.

Lorenzo Pierobon 2025 ©

Il Mistero della Voce 11 ottobre – Milano –

Le date: 11 ottobre – 13 dicembre 2025

                   7 febbraio – 25 aprile   2026

Un laboratorio che nasce dall’esperienza di Lorenzo Pierobon, musicoterapeuta, cantante e ricercatore della Voce, e dall’esigenza di iniziare a trasmettere una conoscenza accumulata in quasi trenta anni di ricerca e sperimentazione vocale. Gli incontri sono pensati per indagare lo strumento voce in maniera profonda, non soffermandosi esclusivamente sulla parte tecnica, ma esplorando le componenti più misteriose che conferiscono alla Voce lo status di “strumento trasformativo”. Le tecniche del canto armonico (overtones singing) ci accompagneranno in questo percorso alla scoperta della parte più nascosta e potente della voce: la componente esoterica. Tutti possono partecipare, non servono prerequisiti tecnici, in particolare è consigliato:

• A coloro che desiderano intraprendere un percorso di crescita personale e di consapevolezza

• Professionisti della relazione di aiuto (medici, psicologi, counselor, operatori olistici, insegnanti, etc).

• Artisti

• Cantanti e danzatori

• Esploratori

Gli incontri sono fruibili singolarmente, ma è fortemente consigliato il percorso completo, al termine del quale sarà rilasciato un attestato di frequenza. Per chi lo desiderasse è possibile attivare sessioni individuali di tutoring e supervisione in presenza, dove possibile, oppure online. (Gli incontri individuali, sono da considerarsi come costo a parte e saranno concordati direttamente con l’insegnante).

PROGRAMMA DETTAGLIATO in corso di definizione

Segreteria KAILASH Telefono 02 39545486 e-mail informazioni@cckailash.it