Archivio dei tag Voicelab

Voce, canto armonico, Zero Point Energy. Simbolo e metafora.

Nel mondo del canto, della musicoterapia e delle ricerche sperimentali riguardanti la voce, emerge una connessione affascinante tra la voce umana e il concetto di “Zero Point Energy” mutuato dalla fisica quantistica. Si riferisce all’energia minima che una particella subatomica può avere, anche quando è a temperatura assoluta (0 Kelvin, -273,15°C). Questo significa che anche nello stato di riposo più completo, le particelle continuano a vibrare a una certa energia di base, chiamata appunto energia del punto zero (ZPE), questo è un concetto affascinante, poiché suggerisce che il vuoto apparente non è completamente privo di energia, ma piuttosto traboccante di fluttuazioni quantistiche. Questa idea è stata oggetto di studi e discussioni nel contesto della teoria quantistica dei campi e ha importanti implicazioni in diverse aree della fisica.

Per comprendere appieno la connessione, tra voce, canto e ZPE esploriamo come le vocali e i simboli possono diventare un ponte tra la dimensione fisica e quella spirituale. Le vocali, sono le fondamenta del linguaggio e del canto, e possono assumere un significato simbolico profondo. Nella mia pratica, ho associato la vocali “u” e “i” a concetti specifici: “u” rappresenta la terra, l’energia femminile e l’orizzontalità, mentre “i” simboleggia il cielo, l’energia maschile e la verticalità. Questa distinzione tra materia (rappresentata dalla linea orizzontale) e spirito (rappresentato dalla linea verticale) è una visione comune a molte tradizioni spirituali. La linea orizzontale rappresenta la solidità della materia, mentre la linea verticale simboleggia l’ascesa verso lo spirito. Là dove queste due linee si intersecano, si crea un potente simbolo: la croce. Questa intersezione rappresenta il punto in cui materia e spirito si incontrano e si bilanciano. Al centro, nella mia personale visione, sorge l’energia del punto zero (ZPE), ovvero il raggiungimento dello stato di “presenza”, è possibile trovare alcune correlazioni tra questo punto specifico e i concetti legati a una visione spirituale:

  1. Connessione universale: si può pensare alla ZPE come contenente una sorta di energia che permea tutto l’universo (QI, prana, materia oscura). Questa visione può richiamare concetti di unità o interconnessione tra tutte le cose, che sono spesso associati alla spiritualità.
  2. Vibrazioni e frequenze: nella fisica quantistica, l’energia del punto zero è legata alle vibrazioni delle particelle, questo concetto può essere collegato all’idea di “vibrazioni spirituali”
  3. Stato di pace e calma: la ZPE rappresenta uno stato di minima energia, che potrebbe essere interpretato come un momento di calma, pace interiore e presenza. Questo potrebbe essere paragonato alla meditazione o alla ricerca della centratura nelle pratiche spirituali.
  4. Esplorazione interiore: la ricerca di una connessione spirituale spesso coinvolge l’esplorazione interiore e la comprensione di aspetti profondi di sé e della realtà

Un’altra simbologia interessante da prendere in considerazione per spiegare meglio questo centro di “presenza “è l’occhio del ciclone. Mentre tutto attorno a esso è turbolento e caotico, l’occhio offre un rifugio temporaneo di serenità. Questa zona di quiete è creata dal contrasto tra i venti convergenti che lo circondano, creando un equilibrio al centro della tempesta.
La correlazione tra ZPE e l’occhio del ciclone risiede nella loro rappresentazione di equilibri nelle dimensioni opposte dell’universo.: l’equilibrio del microcosmo, presente a livello subatomico, e l’equilibrio del macrocosmo, riferito a un fenomeno meteorologico, entrambi ci ricordano che l’equilibrio è una qualità intrinseca dell’universo, sia nell’infinitamente grande che nell’infinitamente piccolo. Questa correlazione può essere vista come un invito a riflettere sulla profonda interconnessione tra tutti gli aspetti dell’universo, dall’energia primordiale delle particelle subatomiche alla calma apparente nel cuore della tempesta. Tuttavia, è importante sottolineare che queste correlazioni sono interpretazioni personali e filosofiche. La fisica quantistica e la spiritualità operano in ambiti molto diversi, ma anche molto simili, questo non impedisce, di trarre ispirazione da tali concetti per la propria esplorazione personale e ricerca spirituale.

La connessione tra voce e ZPE suggerisce un equilibrio armonico tra la manifestazione fisica e la dimensione spirituale. Quando cantiamo, possiamo sperimentare questo equilibrio, creando un ponte tra il mondo materiale e regno spirituale. Il canto delle vocali diventa un mezzo per esplorare la profondità della nostra esistenza, una pratica che riflette il nostro desiderio di connettere materia e spirito. La ZPE si trova al centro di questa esplorazione, rappresentando l’equilibrio, la calma e la convergenza tra questi due mondi.

Lorenzo Pierobon 2023 ©

Melodie Cellulari: nuove prospettive di medicina rigenerativa

Questo video del Prof. Carlo Ventura, che ringrazio sentitamente per la sua ricerca sul campo, illustra i meravigliosi meccanismi che sottendono alle attività artistiche, musicali e vocali, ancora una volta la Scienza restituisce dignità e rispetto a tutte le pratiche derivate da antiche conoscenze ed elevata consapevolezza.  Proseguiamo senza indugio nelle nostre ricerche e nel nostro lavoro per permettere ad un numero sempre più elevato di persone di poter accedere a queste conoscenze.

Le cinque stanze e il mistero della Voce

Entrare in contatto profondo con la voce comporta un viaggio fortemente simbolico “da fuori a dentro”, la possibilità di unire la linea orizzontale con quella verticale, per questo ho sentito l’esigenza di creare il percorso delle cinque stanze, una modalità di preparazione e di riscaldamento con tre diversi livelli di fruizione: fisico, energetico, simbolico. In questa esplorazione entreremo in possesso di strumenti da utilizzare, simboli, intuizioni, otterremo  la possibilità di liberarci dei nostri fardelli emotivi, energetici, mentali. Chi conosce il mio lavoro sulla voce sa che ogni incontro, individuale o di gruppo, inizia sempre in modo rituale con il percorso delle cinque stanze.

LA STANZA DEL SUONO: dedicata al paesaggio sonoro che ci accompagna nel percorso, il primo passo è quello di entrare in contatto profondo con tutte le fonti sonore presenti nel “qui e ora”, affinando l’udito si aumenta la concentrazione e la presenza.

LA STANZA DELLA MATERIA: entriamo in contatto con con il corpo evidenziando i messaggi che quest’ultimo ci invia incessantemente; aumenteremo così la consapevolezza dei blocchi e delle tensioni fisiche.

LA STANZA DELLE EMOZIONI: il contenitore del nostro stato d’animo, qui possiamo percepire in modo netto le emozioni che governano il nostro essere nel momento presente.

Le prime tre stanze permettono al nostro sistema corpo/mente di entrare in uno stato di profonda attenzione e presenza.

LA STANZA DEL RESPIRO: qui avviene il contatto alchemico tra terra e cielo, la trasformazione del respiro meccanico in respiro consapevole. Successivamente attraverso l’emissione di alcuni suoni consonantici ci concediamo la possibilità di liberare simbolicamente tutto ciò che può ostacolare il nostro percorso: paure, tensioni, blocchi e pensieri negativi.

LA STANZA DELLA VOCE: il luogo piú sacro della “cattedrale sonora” in cui viene custodito il Mistero, qui inizia il riscaldamento vocale e la pratica esoterica della Voce, entriamo in contatto con il non luogo: L’altrove.

Lorenzo Pierobon © 2014

Sound research Stanford University

Ecco le ultime novità provenienti dalla prestigiosa università di Stanford riguardanti le ricerche sulle applicazioni del suono in medicina.
Ricordate la Cymatica?

https://stanmed.stanford.edu/listening/innovations-helping-harness-sound-acoustics-healing.html

Lo Yoga Ratna-il gioiello dello Yoga (Patrizia Martinelli)

propone un cammino per entrare dentro se stessi e potersi conoscere al di là degli specchi (quelli reali o anche quelli che ci rimandano le altre persone), aprirsi alla consapevolezza e scoprire il gioiello nascosto in ognuno per poter ridefinire la propria identità.

La maestra Gabriella Cella ha ideato questo metodo che si basa su una ricerca che pone al centro il simbolo, legato alle forme del corpo e del respiro con tutta la sua forza dirompente.

Il corpo si esprime in tante forme differenti, tante quanto l’universo ne può contenere e quante la mitologia e la simbologia più antica hanno manifestato, forme che hanno un riferimento reale oppure meramente fantastico, che esprimono modalità legate al femminile oppure al maschile.

Proprio osservandosi senza giudizio, nell’immobilità dell’asana, ascoltando il tipo di respirazione che si crea, percependo l’elemento e dunque il Raja Chakra che è influenzato, è possibile risvegliare il simbolo che agisce all’interno. Accogliere ciò che appare senza giudicare, vivere l’armonia e l’eleganza del gesto, lasciare affiorare sensazioni di piacere o di disagio senza sottrarsi, può far emergere parti di sé finora ignote e sperimentare la complessità dell’esistenza.

E altrettante possibilità ce le offre il respiro che ci porta all’interno ed è strumento di autoconoscenza. Con il pranayama impariamo esercizi che ci permettono di individuare il nostro stato energetico e che producono effetti benefici come farci superare stati emozionali intensi, trovare la calma e la concentrazione e che possono equilibrare, rilassare o energizzare a seconda di quello di cui abbiamo bisogno. Esercizi che hanno particolari caratteristiche simboliche oltre che azioni terapeutiche ed energetiche.

E non dimentichiamo che il respiro può diventare suono con i Mantra (che significa strumento per la mente): quando i dati sensoriali ed emotivi che ci raggiungono e ci coinvolgono, creano confusione al nostro interno e la mente riflette un’immagine distorta della realtà, la recita dei mantra può favorire il silenzio della mente e lo scorrere dell’energia vitale. Dedicandoci a questa pratica in una ricerca che ha bisogno di una guida attenta, è possibile sperimentare come sia possibile diventare un tutt’uno con questi suoni e realizzare di essere una cassa di risonanza dell’armonia universale. Con i Bija Mantra (Mantra seme) relati ai Maha Raja Chakra (che sono vibrazioni cosmiche concentrate nel microcosmo umano e rappresentano le tappe evolutive nel percorso realizzazione individuale) ci si riferisce a suoni che vanno ad amplificare la concentrazione su questi Centri di energia e sugli elementi ad essi correlati, per stimolarli.

Se si avverte la spinta a voler cambiare qualcosa di se stessi o della vita che si conduce, lo Yoga Ratna ci aiuta. Se in una determinata fase della vita si ha più bisogno di forza o di equilibrio, di fluidità o di fermezza, di abbandono oppure di stabilità, è possibile scegliere esercizi respiratori e mantra adatti alla situazione, così come posizioni di eroi ed eroine, di divinità, di animali, di elementi della natura in cui si evidenzi quella qualità che ci interessa potenziare.

La pratica di questo tipo di Yoga diviene uno strumento duttile e prezioso a disposizione di chi non voglia perdersi in vane acrobazie o effetti consolanti, ma intenda liberarsi dalle abitudini con cui è solito definirsi.

 

Patrizia Martinelli ha conosciuto lo Yoga all’inizio degli anni ‘80 e si è diplomata presso l’E.F.O.A. (European Federation of Oriental Arts) nel 1992 e presso la S.I.Y.R. (Scuola Insegnanti Yoga Ratna) nel 2003. E’ socia YANi (Associazione Nazionale Insegnanti Yoga). È appassionata alla ricerca in questo ambito ed a questo fine ha viaggiato in India , soggiornando in alcuni Ashram, e continua a seguire percorsi formativi e sentieri d ricerca. Vive a Lucca dove insegna Yoga da trenta anni presso l’associazione da lei fondata, il Centro Amrita. patrimartix@gmail.com   3293773096

Il mito di Atlante: un’anatomia della voce tra terra e cielo (Luca Cascone)

Secondo il mito greco, Atlante era un Titano, una delle prime divinità legate alle potenze naturali. Secondo Esiodo si schierò con Crono (il Tempo), secondo Signore del Mondo, nella guerra scatenata dal figlio Zeus per la supremazia. Persa la battaglia, Atlante fu condannato da Zeus a reggere il peso del cielo sulle sue spalle per allontanarlo dalla terra.
Originariamente era emanazione diretta della potenza del Mare (da cui infatti l’Oceano Atlantico, e la perduta isola di Atlantide). Figlio, oltre che di Giapeto o di Zeus, di Climene o di Asia, progenie di Oceano e Teti, le prime personificazioni del Mare, nonché padre di Calipso e delle Esperidi, Atlante incarnava per Omero ed Esiodo la capacità dell’Acqua di mobilizzare grandi forze (dalla stessa radice viene il verbo latino tollo, da cui “tollerare”, “portare”). Il suo nome è stato traslato per metafora al compendio per eccellenza – quello delle mappe (geografiche, anatomiche, …) che per così dire reggono la conoscenza sistemica -, a una catena montuosa, per la sua solidità, e alla prima vertebra cervicale, quella parte corporea che regge il peso del capo.

Perché parlare di mitologia in un articolo sulle relazioni tra voce e sistema cranio-cervicale?
L’Atlante mitologico solleva il cielo (o il mondo, in altre raffigurazioni) come quello anatomico regge il capo. La sua struttura di circonferenza ossea, con le superfici articolari conformate a delineare in due fosse curve una sezione di sfera cava, ne fanno il perfetto alloggiamento per la sfera piena dell’occipite, la struttura che costituisce gran parte della base del capo, insieme ai due temporali e allo sfenoide, e accoglie le strutture più inferiori del complesso encefalico (romboencefalo).
L’Atlante mitologico poggia i suoi piedi al confine della terra, come quello anatomico si poggia su una solida struttura, la seconda vertebra cervicale (detta “epistrofeo”, dal greco “girare intorno”), che ne completa la struttura e la funzione con due faccette articolari conformate a binario, perfette per una rotazione molto ampia (45° per lato, la metà di tutta la rotazione cervicale!), e un massiccio dente che ne costituisce il perno. A sua volta, l’epistrofeo si appoggia sulla colonna cervicale.
Queste strutture costituiscono posteriormente le inserzioni dei muscoli suboccipitali, fondamentali nell’aggiustamento fine del capo, e hanno relazione con i maggiori muscoli della regione craniocervicale (trapezio, spleni, sternocleidomastoideo, lunghi del collo, …), di cui il complesso occipito-atlanto-epistrofeo (OAE) è a tutti gli effetti il perno di orientamento, in sinergia con gli i segnali sensoriali (vista e udito in primis).
Fondamentali anche le relazioni vascolari e neurologiche di questa area: da qui passano in transito da e per il cranio i principali rami vascolari (arterie carotide interna ed esterna, arteria vertebrale, vena giugulare), nonché nervosi (nervo vago, accessorio, glossofaringeo, in connessione con il sistema trigeminale e facciale) che garantiscono la gran parte dell’organizzazione cinetica di cranio, faccia e collo. Da qui inoltre il midollo spinale incontra il tronco encefalico endocranico, costituendo il cosiddetto ponte miodurale, la connessione diretta tra le meningi encefaliche e i sopracitati muscoli suboccipitali: l’Atlante è a tutti gli effetti il luogo di confine tra terra (il corpo) e cielo (il cranio e il suo contenuto), bagnato da un mare in perenne fluttuazione, quello del sistema liquorale che circonda, protegge e nutre il sistema nervoso centrale.

Qui entra in scena il sistema oro-faringo-laringeo, a cui la base cranica è strettamente collegata, insieme al sistema muscolare ad esso associato, che comprende muscoli mimici, masticatori, palatini, faringei e, ovviamente, i famosi sovra- e sotto-ioidei. Tutti questi muscoli hanno connessione a vario titolo con occipite, temporale, sfenoide e sistema OAE, e per intermediazione del continuum linguale e delle strutture nervose la laringe intreccia una relazione biunivoca con il passaggio craniocervicale, non solo o necessariamente in senso strutturale, ma anche e soprattutto funzionale. Ad esso si appendono le strutture che proseguono verso il basso nel sistema respiratorio e in quella numerosa serie di strutture che costituiscono il sostegno posturale all’attività pneumofonatoria.
I nervi sopra citati (trigemino, facciale, vago, accessorio, glossofaringeo) costituiscono quello che in relazione alla teoria polivagale è stato chiamato sistema nervoso sociale, di cui l’attività vocale costituisce una diretta emanazione insieme alle modulazioni posturali e comportamentali che si accompagnano alle attività affettive, o alla loro modulazione e dis/organizzazione anche sulla cascata posturale che esse modulano e dirigono nel dialogare con l’ambiente.

Senza tenere in conto la natura acquea del Titano mitologico, ovvero quella affettiva del corpo umano, la regione craniocervicale non acquista il suo senso più intimo e profondo: quello di custode e veicolo dell’espressione (o non espressione) e comunicazione (o non comunicazione) umana.
Non a caso dall’evoluzione sinergica di quest’area la specie homo ha sviluppato, come ben analizzato da S. Mithen nelle sue teorie sull’evoluzione del linguaggio, da strutture originariamente deputate a scopi come l’alimentazione e la respirazione (anch’essi comunicativi), la capacità di trasdurre i moti interiori in canto e poi in parola, organizzando così il pensiero e il linguaggio che lo edifica. Non a caso è la fluidità del respiro, sostenuto e appoggiato ad una sinergia pneumatica che viene dal sistema di catene muscolari ben conosciuto dai vocologi e utilizzato dai vocalisti, facente capo al sistema dei diaframmi, connesso alla base cranica e al complesso OAE, a portare la voce come un’onda fluida e costante verso la sua vibrazione laringea e verso la sua modulazione superiore (strutturale e cognitiva). O, per dirla con il linguaggio mitico, non a caso Atlante si appoggia sulla Terra reggendo il Cielo con la forza delle Onde.

Luca Cascone

Osteopata D.O., Musicista e Musicoterapista in formazione, Facilitatore di Medicina Narrativa.
Da sempre esploratore delle relazioni e dei confini tra i diversi ambiti dell’umano, fonde lo studio dell’anatomofisiologia a quello della comunicazione e degli stati di coscienza e consapevolezza dell’uomo in relazione a sé e all’ambiente.
Narratore per vocazione, si occupa del linguaggio narrativo in ambito non verbale, para verbale e verbale come mezzo di costruzione, sostegno e trasformazione della coscienza individuale e di comunità.

spazioarmoniasalute@gmail.com

www.spazioarmoniasalute.com

La sperimentazione artistica e l’espressione dell’anima: la voce-corpo.

Dalla tesi di VOCOLOGIA ARTISTICA (a.a. 2019 – 2020) di SERENA VERGA LA SPERIMENTAZIONE ARTISTICA E L’ESPRESSIONE DELL’ANIMA:  LA VOCE-CORPO.

Da Demetrio Stratos alle neuroscienze, dalla drammaturgia vocale alla comunicazione non verbale

Intervista a Lorenzo Pierobon a cura di Serena Verga

 

Foto di: Roberta Sotgiu

 Con il  passare del tempo, studi, ricerche e sperimentazioni hanno reso tutti più consapevoli di quanto sia davvero importante il “prendersi cura” di se stessi, come Voce e come Corpo. Si è dimostrato anche che la Musica e le Arti, a tutti gli effetti, siano un phàrmakon naturale. Secondo lei, da musicoterapeuta, cantante, formatore e vocal trainer quale è, quanto influisce una buona conoscenza di se stessi (come Voce-Corpo) nella vita di tutti i giorni? 

Bella domanda! Influisce molto. Mentre prima ci basavamo sulla saggezza popolare del “canta che ti passa”, adesso siamo arrivati alla piena consapevolezza di quanto il canto faccia bene al nostro organismo e quindi di quanto sia davvero importante conoscere la nostra voce. Se tutti partissimo da una conoscenza pregressa e approfondita della nostra voce, questo ci direbbe già tanto di noi. Se la mia voce urla e aggredisce dice di me una cosa, se la mia voce non si sente, è bassa, sommessa, dice di me un’altra cosa. Quindi già come la si utilizza può dire e dare delle informazioni all’esterno, per cui penso che sia veramente molto importante conoscerla a fondo per conoscere se stessi. Teniamo presente che la voce è unica in ognuno di noi, molto più di un’impronta digitale di cui pare se ne possano trovare alcune simili fra gli esseri umani; la voce ci contraddistingue pienamente l’uno dall’altro, essa è proprio ciò che ci definisce dal punto di vista timbrico, acustico, fisiologico, ma chiaramente dentro quel suono si racchiude anche la nostra storia emotiva.

Ha compreso perfettamente ciò che intendevo. C’era e c’è ancora gente che non riesce a capire quanto lavoro ci sia dietro una voce. Questi studi, queste sperimentazioni che facciamo hanno l’obiettivo di divulgare questo pensiero, affinché si cominci a pensare alla Voce in maniera più totalizzante, ossia come strumento di comunicazione a 360° che ci rappresenta come persona, oltre che come artisti – nel caso in cui si faccia parte della schiera dei lavoratori dello spettacolo.

In questo mio viaggio di ricerca ho scelto di intraprendere anche questo studio di contrapposizione e comparazione tra Demetrio Stratos ed Antonin Artaud, prendendoli come esempi, il primo nel canto e nella sperimentazione vocale e il secondo nel teatro: ho potuto constatare che entrambi, nonostante abbiano vissuto in periodi storici differenti e si siano mossi in ambiti artistici diversi seppur accomunabili, sono arrivati alla conclusione che la Voce-Corpo sia una medicina naturale, un mezzo di rinascita personale, e proprio attraverso la loro arte e i loro studi hanno voluto dimostrare quanto il suo utilizzo e la sua conoscenza possa essere utile a tutti, sia nel settore canoro che in quello teatrale; l’Arte non più solo come svago effimero, passeggero, ma come “cura” per l’essere umano, liberazione corporea, perché l’Uomo non può fare a meno dell’Arte come l’Arte non può fare a meno dell’Uomo. 

Sono perfettamente d’accordo. Tieni presente che Demetrio Stratos (una testimonianza la si ha anche in un vecchio documentario a lui dedicato su Rai 4) si recava proprio nelle scuole per parlare di Voce, per rendere partecipi anche i bambini delle sue sperimentazioni vocali e i piccoli restavano affascinati da tutto questo. Questo era un modo ulteriore per far capire quanto la Voce fosse (ed è) uno strumento importante, anche nel relazionarsi col mondo. Infatti sia nei lavori di gruppo che in quelli individuali, sia nel teatro che nel canto, le persone che iniziano un percorso sulla Voce, man mano che prendono dimestichezza col proprio strumento, diventano più sicuri, l’autostima cresce inevitabilmente (parli e comunichi in modo migliore, sei meno timido, gestisci di più la tua emotività, …), si ottengono grandissimi riscontri. Non a caso, la Voce è musicoterapia e la Voce-Corpo è il primo strumento che utilizza il musicoterapeuta per lavorare.

 Ci parli un po’ del suo Vocal Harmonics in Motion®: in cosa consiste?

 Il metodo VHM (acronimo dall’inglese Vocal Harmonics in Motion®) parla di Armonici Vocali in Movimento. Ho scelto di eleggere il canto armonico (o meglio, la modalità di emissione degli overtone) come mezzo o tecnica principale del mio lavoro, perché – prima di tutto – è molto facile (a dispetto di quanto possa sembrare!): i bambini – per esempio – ci mettono cinque minuti per impararlo giocando (chiaramente nel caso in cui qualcuno voglia farlo diventare il suo principale mezzo espressivo artistico ci deve stare molto più tempo e studiarlo approfonditamente, come per tutte le cose, perché ci vuole allenamento e costanza). Quindi, dicevo, l’ho scelto perché il canto armonico può essere facile, ha un approccio ludico per tutti (indipendentemente dall’età anagrafica) e inoltre quando si riesce a farlo bene provoca dentro di noi, ancor di più di un canto tradizionale, una cascata emotiva di ormoni, di endorfine, insomma un senso di piacere e appagamento senza pari. Durante la sua emissione, si lavora sulla cosiddetta consonanza di testa, stimolandola fortemente, e di conseguenza abbiamo un personale cambio di stato di coscienza molto marcato, rapido. Per esempio, nel momento in cui si fa l’humming (ossia l’emissione controllata e silente di una “m” prolungata che dà una leggera sensazione di formicolio alle labbra) per poi passare gradualmente alla formazione e all’emissione degli armonici, pian piano, procedendo in questo esercizio vocale in stato meditativo, inizieremo a notare un notevole cambiamento (ciclo respiratorio, battito cardiaco, ecc.), come se riuscissimo magicamente a mantenere un controllo maggiore di noi stessi, raggiungendo una stabile sensazione di benessere psicofisico.

Quindi se dovessimo spiegare in poche e semplici parole cos’è il canto armonico?

 Il canto armonico è paragonabile all’immagine di copertina dell’album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, mi riferisco al disegno del prisma, potremmo racchiudere lì il suo significato: il fascio di luce bianca entra nel prisma e viene scomposto nei colori primari. In altre parole, la nota fondamentale passa nei risuonatori (labbra, bocca, vocal tract e lingua) che sono il nostro “prisma” e da quello vengono fuori i vari colori della Voce, quindi i parziali che compongono la nota fondamentale. Di fatto, in termini musicali, si tratta proprio di estrarre il “colore” della Voce, ossia quello che poi va a costituire il timbro e che ci rende unici l’uno dall’altro e percettivamente riconoscibili. Per esempio, se togliessimo gli armonici da una tromba non la distingueremmo più da un pianoforte o da altri strumenti musicali. Con le tecniche del canto armonico, della manipolazione della nota fondamentale, siamo in grado di far suonare più o meno evidentemente il primo, il secondo, il quinto, il decimo, il dodicesimo armonico ed ottenere così quell’effetto “intervallo” o di sdoppiamento del suono che tanto affascina. Parliamo di “movimento” (ossia armonici “in movimento”, rifacendoci anche al nome del mio metodo di approccio didattico), perché – prima di tutto – c’è realmente un movimento all’interno del cavo orofaringeo (la lingua ha indubbiamente un ruolo primario in tutto questo) e poi ho anche scelto di abbinare a queste modalità di emissione una serie di movimenti presi dalla bioenergetica e anche da tradizioni millenarie, come il Qi Gong (ho questa matrice un po’ orientale nella mia formazione), che ho trovato molto efficaci in abbinamento con il suono.

Nella mia tesi ho parlato anche del concetto di grounding tratto proprio dalla bioenergetica e del pensiero di Alexander Lowen: mi è piaciuto molto questo parallelismo dell’albero e delle sue radici all’essere umano, per “(ri)collocarci” e ritrovare così noi stessi.

CertoIl concetto di “radicamento” è la base del mio lavoro, un lavoro carico – potremmo dire – di simbolismo.

Carico di suggestioni, allusioni, meglio ancora di percezioni.

 Esatto! Per esempio, nel momento in cui richiedo l’emissione di una “U” grave è per avvicinarci al concetto di radicamento, per sentirci come a stretto contatto con la terra, per poi passare all’emissione di una “I” accompagnandola alzando le braccia (sembrerà come se quella “I” non uscisse solo dalla bocca, ma dalla punta di ogni singolo dito della mano per andare verso l’alto, sempre di più): nel passaggio dalla “U” grave (fase di “radicamento”) alla “I” acuta (fase di “innalzamento”), è come se ci si sentisse davvero un germoglio che a sua volta diventa poi alberello, poi albero che mette radici e che cresce stagliandosi sempre più verso il cielo. Potremmo dire che va davvero in alto (anche con il suono) solo chi è ben radicato. Senza rendercene conto, raggiungeremo poi la cosiddetta nota di passaggio (che unisce le consonanze petto/testa) in maniera del tutto naturale, imparando spontaneamente. Ecco perché “in motion”, il movimento per me è fondamentale: se vuoi proiettare un suono, io te lo faccio prendere e lanciare (in senso figurato), come se prendessi, per esempio, la “O”, la stringessi fra le mani e la lanciassi in acqua come se fosse pietra oppure come scoccare una freccia. Il gesto corporeo aiuta fortemente la memorizzazione di particolari percezioni sensoriali, facendo sì che anche la Voce possa raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, migliorandone l’uso quotidiano per sentirci così più liberi.

Quali esercizi consiglia ad allievi di musica e teatro per mantenersi in forma e in costante allenamento quotidiano per un utilizzo più consapevole della Voce-Corpo in ambito professionale? Lavora su propriocezione, postura e respirazione? Se sì, come?

 Prima ancora della Voce, lavoro particolarmente su propriocezione ed ascolto. Bisogna imparare ad ascoltarsi, a chiedersi “Come sto oggi?”, “Come sta andando?” (per esempio, se esco dalla sala prove accusando dolore o fastidio vocale, vuol dire che non sono in forma oppure che non ho lavorato nel migliore dei modi o che ci sarà qualcosa su cui – da ora in poi – dovrò fare particolare attenzione!). Subito dopo l’ascolto di se stessi, viene la respirazione, o meglio l’ascolto del proprio respiro: non è affatto semplice ed immediato per tutti. Fra gli esercizi basilari, faccio fare tanto l’humming, ossia l’emissione silenziosa della “M” con la masticazione a vuoto e conseguente passaggio dalla “M” alla “N”; successivamente faccio usare – se necessario – anche le “cannucce” che sono compresi fra i cosiddetti dispositivi SOVTE (Semi Occluded Vocal Tract Exercises): non impiego la mascherina e non faccio fare altri esercizi a vocal tract semi-occluso, ma prediligo l’uso della cannuccia da sola oppure la cannuccia inserita in una bottiglietta riempita a metà di acqua. Questi li inserisco fra gli esercizi di riscaldamento/defaticamento vocale e anche come mezzi per incrementare le proprie potenzialità espressive. Quindi propriocezione e respirazione unite nell’ascolto di se stessi, questo è il mio lavoro, attraverso un viaggio individuale che diventa come un vero e proprio rito di purificazione per riconoscersi pienamente. Le persone che frequentano i miei seminari è come se scegliessero di tuffarsi in un viaggio sonoro che li allontani momentaneamente dai rumori esterni per concentrarsi su se stessi, per darsi spazio e collocarsi – come sono solito dire – nella stanza del respiro (come una meditazione yoga, per intenderci). Da lì, dalla stanza del respiro, si inspira e si espira profondamente e silenziosamente, passando poi all’emissione della “S” (per scacciare pensieri tristi, rabbia e pesi vari che ci portiamo nella nostra vita, talvolta troppo frenetica). Dopodiché passo all’humming (la “M”, di cui ho accennato prima) che aiuta il rilassamento, sfruttando le cavità nasali e la consonanza: qui si attiva fortemente la propriocezione. Poi si passa alla “N”, come suddetto, che dà una sensazione di verticalità del suono, sfruttando una diversa consonanza e risonanza rispetto alla “M”. Successivamente, se si vorrà e se reputo necessario, da qui si parte ad esplorare il canto armonico, attraverso l’enfatizzazione sonora nel passaggio lento da “M” a “N” (a bocca chiusa), come se si masticassero le due lettere, in leggera nasalizzazione: nel caso in cui si abbia la strana (ma bella) sensazione di sentire più suoni in uno, detto in parole semplici, si avrà a che fare con gli armonici. È un viaggio di continua sperimentazione, un dialogo intimo e silenzioso con se stessi.

 Insomma pochi (intensi) esercizi base, per un vero e proprio viaggio dentro di sé, per ritrovarsi, ascoltarsi, conoscersi meglio. È come se imparassimo a guardarci dal di fuori, da un occhio esterno che sappia osservare i nostri movimenti e da un occhio interno che sappia invece percepire le nostre più piccole tensioni ed emozioni.

 Sì. Tutto è ascolto, osservazione, concentrazione.

 Nel suo mondo fatto di musica come terapia e anche nei suoi seminari (che mi piace definire, più che corsi, “viaggi esperenziali”), quali effetti ha riscontrato sui partecipanti?

Mi capita di incontrare persone con storie diversissime fra loro nei miei seminari: ci sono artisti (attori, cantanti e chiunque usi la Voce a livello professionale), c’è chi viene per cercare di conoscersi meglio, risolvere dei problemi personali o scontrarsi con la propria emotività per uscirne più forte. Diciamo che non c’è una richiesta terapeutica vera e propria, per cui possiamo dire che il mio lavoro non è terapia ma è terapeutico. Chiaramente se lavoro con pazienti psichiatrici è un altro mondo e in questi casi bisogna stare anche molto attenti agli effetti del lavoro vocale, perché esso può caricare positivamente, ma può anche scompensare qualcos’altro. Gli esercizi ai quali sottopongo un professionista vocale e un paziente patologico talvolta possono anche essere identici, ma ciò che davvero differisce l’uno dall’altro è l’obiettivo: il professionista vocale lavora per migliorare ed ottimizzare la sua performance, mentre il paziente patologico lavora per gradi ed è accompagnato in un percorso che porti ad uno stato di equilibrio emotivo. In ogni caso, parto sempre e comunque dall’ascolto di se stessi.

Realmente non so mai chi mi capiterà in un seminario, quindi la cosa fondamentale è non dimenticarsi mai di utilizzare la Voce con estrema attenzione, perché non tutti possono essere preparati ad un lavoro così personale, perché qui non si parla di lavoro tecnico o su spartito – per intenderci, ma si parla di emozioni, di situazione psicofisica, a cui bisogna affacciarsi con estrema cura e sensibilità. Naturalmente nel caso di pazienti affetti da tossicodipendenza, depressione, ansia, autismo, varie lesioni cerebrali, mi affianco a medici specialisti (come neurologi, psicologi e psicoterapeuti, omeopati, ecc.). Non è facile lavorare in questi ambiti, bisogna avere determinate competenze e la musicoterapia può ottenere delle risposte positive in certi casi: per esempio, è ormai stato attestato che l’utilizzo della Voce come strumento terapeutico principale vede la mia metodologia (Vocal Harmonics in Motion®) particolarmente indicata per il recupero dei pazienti affetti da afasia o da patologie legate alla Voce e alla comunicazione. Per quanto riguarda la relazione tra musica e linguaggio nei pazienti pediatrici con disturbo dello spettro autistico, uno studio internazionale ha valutato l’efficacia della musicoterapia, in particolare dell’improvvisazione musicale, su un campione di quasi 400 bambini autistici di 4-7 anni di nove Paesi diversi, fra cui il nostro.

Risultati molto importanti. Non c’è alcun dubbio: l’Arte è phàrmakon per il corpo e per l’anima.

Assolutamente sì. Uso sempre un’immagine [v. sopra] come metafora del mio lavoro: sembra un semplice oggetto rotto, da buttare, ma in realtà è un oggetto le cui parti frantumate sono state rimesse a nuovo riempiendole di oro, cosicché l’oggetto possa essere conservato intero, non a cocci, persino rivalutandolo. Si chiama Kintsugi, l’arte giapponese di riparare oggetti rotti; metaforicamente è l’arte di ridare valore alle proprie ferite, abbracciando pienamente la bellezza delle “cicatrici”. La stessa cosa succede quando io lavoro sulla Voce di una persona, sia a livello artistico che terapeutico: so bene di avere a che fare con la sua storia personale, quindi con le sue gioie ma anche con i suoi dolori; se le sue ferite riescono a riempirsi di oro riacquistano valore trasformandosi in forza e tutto viene poi automaticamente a ricadere sulla Voce (nell’interpretazione di una canzone come nella quotidianità).

Proprio così esce fuori la nostra vera essenza e non abbiamo più paura di nasconderci, perché sono proprio le nostre ferite a renderci davvero unici.

Due parole, tecnica e improvvisazione: cosa le viene in mente? Quanto è importante l’una e l’altra per essere un artista vocale?

Secondo me sono importanti ambedue, sono a 50 e 50. La tecnica serve prima di tutto ad imparare come non farci male e poi ad evolvere vocalmente, mentre l’improvvisazione ci dà la libertà di esplorare dei linguaggi sempre diversi e sconosciuti, pur facendoci capire ugualmente tante cose con maggiore spontaneità.

Potremmo dire che il lavoro prettamente di musicoterapia è basato più sull’improvvisazione che sulla tecnica?

 La musicoterapia, anche quella non vocale, o meglio la metodologia con cui mi sono formato – che è il modello Benenzon (dal nome del fondatore Rolando Omar Benenzon, musicista e psichiatra argentino) – è basata sul non verbale (con l’utilizzo di Voce e strumenti) e sull’improvvisazione, è un dialogo sonoro a tutti gli effetti, dove tu dici senza dire con le parole, ma semplicemente interagendo con gli strumenti e con la tua stessa Voce. Insomma improvvisazione pura. In ambito pienamente artistico, invece, tecnica ed improvvisazione devono andare di pari passo, l’uno può prevalere sull’altro saltuariamente, ossia può capitare che l’uno si scontri fortemente con l’altro, ma comunque sono entrambi parte attiva del processo di comunicazione ed espressione artistica e – secondo me – bisognerebbe lavorare sempre in maniera sinergica e complementare. La tecnica non può esistere senza l’altra e viceversa.

Concludo chiedendole una cosa a cui potrà rispondere anche con poche semplici parole che possano sintetizzare un po’ il motivo per cui ha scelto la difficile, affascinante e delicata strada dell’Arte e delle emozioni: per lei, cos’è la Voce o Voce-Corpo?

 Mi sento di dire che non ho scelto, ma sono stato scelto. Inizialmente la strada che avevo intrapreso era completamente diversa da quella attuale, poi ad un certo punto, quasi casualmente, sono stato scelto dalla via della Voce e non ho potuto fare a meno di percorrerla. Quindi per me è tutto, è il mio lavoro, la mia passione, la mia espressione artistica, tutto si fonde nel mio percorso di essere umano. Sono nel posto giusto a far la cosa giusta. Aggiungo che faccio la cosa più bella del mondo. Spero sempre di trasmettere l’entusiasmo con il mio lavoro e per il mio lavoro. Nel momento in cui trovi la tua direzione non c’è nient’altro, sei talmente dentro, come in un flusso continuo e costante, da non dover neppure cercare altro, devi solo essere. Una volta che sei davvero a fuoco, nel tuo ambiente, arriva tutto: le persone giuste, il lavoro, le occasioni. Neppure l’Universo può andare contro di te, perché tu sei quello e basta, tutto funziona esattamente come deve essere.

Grazie infinite per la sua preziosa disponibilità e gentilezza.

 Grazie a te.

SERENA VERGA cantautrice, cantante interprete e attrice. Laureata in Lettere e con Laurea Magistrale in Spettacolo e Produzione Multimediale conseguita con Lode. Esperta in Vocologia Artistica. Ha studiato in accademia sia musica che teatro (anche musical), vantando la partecipazione a tantissimi corsi e stage con Maestri nazionali e internazionali. Ama scrivere. Insegnante di canto e voce, si occupa anche di direzione corale e di laboratori teatrali. Studiosa e sperimentatrice vocale, spazia fra vari generi e stili, dal pop al jazz e al musical, senza mai tralasciare la bellezza dell’improvvisazione e le innumerevoli possibilità di espressione ritmica e di interpretazione artistica. È critica musicale e teatrale, cinematografica e televisiva.

E-mail: serenaverga@yahoo.it

YouTube: https://www.youtube.com/user/88Serena
Facebook (profilo personale): https://www.facebook.com/sere.verga
Facebook (pagina artistica): https://www.facebook.com/serenaverga.voice
Instagram: https://www.instagram.com/serena.verga

Il diario della Voce

Una delle richieste che riscuote più interesse tra le persone che intendono intraprendere un percorso individuale di conoscenza e crescita personale attraverso la Voce è quella del “diario”.

Personalmente ritengo che il diario sia un formidabile strumento, che accompagna durante il percorso, ma che riveste un’utilità ancora più profonda al termine della relazione terapeutica.

Entrare in contatto profondo con la propria voce implica spesso trovarsi di fronte a blocchi o eventi traumatici che hanno avuto luogo nel corso della nostra esistenza, e che spesso si ripresentano sotto forme che non riusciamo a riconoscere immediatamente, ma che possono influenzare il nostro modo di relazionarci con il mondo. Il diario della Voce, diventa un modo utile per mettere “nero su bianco” i nostri pensieri, le emozioni che stiamo vivendo, le paure, ma anche le intuizioni, i progressi, gli obiettivi raggiunti, i talenti che abbiamo riscoperto, i sogni che vogliamo realizzare.

Il diario nel tempo prenderà forza e quando lo rileggeremo, potremo tracciare a ritroso la rotta di un viaggio interiore, dal punto di arrivo al punto di partenza, ripercorrendo nella memoria e nelle emozioni tutto il nostro vissuto e il modo in cui abbiamo superato gli ostacoli e elaborato le nostre sofferenze,

La scrittura spesso può essere vissuta come un ostacolo, ecco perché invito a redigere il diario utilizzando anche altri modi: il disegno, la poesia, gli aforismi, il collage, la registrazione digitale, i video… e così capita spesso che un diario si possa trasformare in opera d’arte. Eccone un esempio.

 Lorenzo Pierobon©

 

 

 

Asclepeion il tempio della Voce

In questo tempo “sospeso” abbiamo sperimentato diversi stati, raccoglimento, silenzio, paure, morte e rinascita; Elaborare queste emozioni significa trarre un prezioso insegnamento che possa dare luogo a una reale nuova “nascita”. Per fare questo abbiamo bisogno di prenderci cura di noi stessi, di trovare un luogo (anche fisico) che possa permetterci di trasformare tutto ciò e di metterlo a disposizione per effettuare un salto di qualità in questa nuova esistenza.

Credo fermamente che utilizzare la Voce come “strumento sacro”, unita alla forza della presenza e dell’intenzione possa contribuire fortemente a questo processo di purificazione e di liberazione dalle paure patologiche. Luoghi fisici e luoghi virtuali ospiteranno questa nuova ritualità finalizzata al recupero del benessere personale.

© Lorenzo Pierobon 2020

I templi sotterranei

erano anche luoghi di guarigione e rinascita, in cui entrare col carico dei malanni e uscire rigenerati. Questo processo di purificazione poteva avvenire in vari modi: mediante l’aspersione con acque rese sacre dalla “presenza” del Numen  (Ablutio), il sonno rituale in grotta (Incubatio), o il passaggio per un varco naturale, il cui superamento rappresentava la morte simbolica del vecchio essere umano e la nascita del nuovo. (fonte wikipedia)

Riti eseguiti presso l’Asclepeion

C’erano due passaggi affinché un paziente potesse essere trattato nell’Asclepeion. Il primo dei quali era la fase di catarsi o purificazione. Ciò avveniva quando un paziente si sottoponeva a una serie di bagni e altri metodi di purificazione, come una dieta pulita per alcuni giorni o purificando le proprie emozioni attraverso l’arte. Il paziente quindi faceva un’offerta in denaro o una preghiera al tempio di Asclepio. Il sacerdote del tempio quindi offriva al paziente una preghiera con cui avrebbe alleggerito la mente del paziente e avrebbe creato una prospettiva più positiva per loro.

Successivamente, arrivava l’incubazione o terapia dei sogni. Questo era il processo in cui i pazienti avrebbero passato la notte nel tempio di Esculapio e durante la notte sarebbero stati visitati da un dio. Se il paziente era fortunato, Asclepio stesso lo avrebbe visitato. Il paziente avrebbe quindi ricevuto il trattamento adeguato mentre era in sogno o avrebbe ricevuto istruzioni da Asclepio su quali fossero i passi necessari per curare il disturbo. Se Asclepio non visitava il paziente, quando il paziente si svegliava, raccontava il suo sogno a un sacerdote o ad un interprete dei sogni e a seconda del tipo di sogno avrebbe ricevuto un certo tipo di trattamento. (fonte wikipedia)

INFO

Il mistero della Voce

Una grotta magica ospita un coro di esploratori della Voce, registrato dal vivo a Putignano (BA) nella grotta di S. Michele durante il workshop di
Lorenzo Pierobon: Vox Ali.